La storia dei Last Leaf Down non inizia certo quest’anno, nient’affatto, visto e considerato che la prima formazione risale al 2003; del quartetto elvetico però in quel preciso lasso di tempo si sa ben poco. Stesso moniker di allora quindi ma il gruppo che ritroviamo ora sulla nostra scrivania non combacia con la descrizione, visiva e sonora, di una doom metal band, origine musicale del quartetto.
Una gavetta prolungata è sicuramente servita ai nostri per perfezionare un debutto come “Fake Lights”, un album che si allontana sicuramente da quanto proposto agli esordi ed a piccoli passi cerca di accaparrarsi una fetta di quella grande torta farcita a suon di shoegaze/ post rock ed una predisposizione vicina ad alcune proposte ambient. Una cinquantina di minuti dispersi per tredici tracce ben prodotte, poco originali ma sicuramente credibili che rimandano ad alcune realtà ben più blasonate (Katatonia? Alcest?) ma senza creare una vera e propria fotocopia, trattasi di un’ispirazione maturata negli anni, uno sviluppo che sembra quasi aver seguito quello dei propri beniamini di allora. Proprio la band di Renkse & co (“Brave Murder Day” vs “Dead End Kings”). Vero trademark della band elvetica è proprio il singer Benjamin Schenk, è proprio lui a ricordare alla propria musica quel passato doom che, mai troppo dispotico, riaffiora lungo tutta la durata del lavoro. Una caduta di stile è riscontrabile però nella produzione anche negli episodi più riusciti, vedi il singolo “Giant”, le atmosfere dreamy ed eteree (“In These Waters”, “In Dreams e la stessa title track) o una piccola perla come “An Endless Standoff”, tutte colpite in modo più o meno grave da quella distorsione quasi architettata a volte, causata proprio da una produzione che vorrebbe tanto rendere etereo qualcosa che già racchiude elementi di questo tipo nella sua composizione; neanche la voce dello stesso Schenk riesce a rimanere ben salda e amalgamata agli altri strumenti, tante volte è come sentire l’eco, un delay vocale di un gruppo che nonostante una produzione scomoda, riesce a dare alle stampe un album godibile, primo passo, si spera, di una carriera ben più originale.