Laura Marling
Once I Was An Eagle

2013, Virgin
Folk

Recensione di Marco Belafatti - Pubblicata in data: 21/06/13

Laura Marling era un’aquila che volava alta e leggiadra nel cielo, verso gli orizzonti lontani del cantautorato che conta. I tempi che corrono, però, non risparmiano più nessuno, tanto meno le fanciulle sbarazzine che a soli 18 anni decidono di impugnare una chitarra e incidere un disco d’esordio - un disco onesto ed ispirato, nel suo caso (“Alas I Cannot Swim”). L’apice creativo del secondogenito “I Speak Because I Can” e i tempi delle collaborazioni coi membri dei Mumford & Sons, ormai, non sono altro che un ricordo sbiadito; Laura Marling, la bionda ventenne che elargiva bucoliche malinconie e scriveva ballate acustiche dal tipico sapore folk (e che, nei ritagli di tempo tra un concerto e l’altro, si portava a casa un Brit Award, un NME Award e una nomination per il Mercury Prize), oggi è una cantautrice esperta, eppure tristemente intrappolata tra le spire di un’arte intransigente ed ermetica. Ben poco ruffiana per assurgere a nuova rivelazione indie-pop, fin troppo naif per competere con chi ha scritto le pagine più importanti della musica cantautorale (Joni Mitchell osserva incuriosita dal suo inespugnabile castello).

 

Arrivando dopo il narcisismo incontrollato e i mezzi passi falsi di “A Creature I Don’t Know” (2011), il nuovo “Once I Was An Eagle” dovrebbe quanto meno permettere alla sua autrice di esprimere il proprio talento ai massimi livelli, facendosi ricordare come il classico “disco della maturità”. Buoni propositi destinati a rimanere tali: la Marling ci prova in tutti i modi ad affrancarsi dall’immaginario “bluegrass” della “West London folk scene” che la rese celebre - dando i natali, tra gli altri, anche alla celebre band dell’ex fidanzato Marcus Mumford - ma la formula appare inevitabilmente chiusa a riccio su se stessa e fuori tempo massimo, a scapito di una capacità di scrittura di indubbio valore.

 

L’intuizione di spezzare l’album a metà tramite un interludio, proponendo un primo gruppo di tracce legate tra loro da un unico filo conduttore - gli accordi della fida chitarra acustica - e da una costante ed appassionante sensazione di climax strumentale, almeno negli intenti, appare più che buona. Certo, la dinamicità in un disco ricamato sulle stesse coordinate da cui scaturirono capolavori come “Rambling Man” e “Night Terror”, rimane una piccola grande utopia, ma senza dubbio le percussioni e la vocalità maliziosa di “Master Hunter”, le sfumature elegiache di “Little Love Caster” e gli archi desolati di “Devil’s Resting Place” ci concedono attimi di inappagabile pathos. Purtroppo, non si può dire lo stesso delle tracce restanti (in totale arriviamo addirittura a quota sedici!), che si rifugiano in timide contemplazioni acustiche e innocui arrangiamenti vintage, tra mellotron svogliati (“Where Can I Go?”, “Once”) e le solite, tediose ninnenanne (“Love Be Brave”, “Little Bird”). Pochi guizzi (su tutti l’oscurità latente di “When Were You Happy?” e il ritornello radioso di “Saved These Words”) salvano il disco dal baratro del dimenticatoio. La carne al fuoco è tanta, troppa, ma qui manca l’ingrediente essenziale: la melodia. A farci compagnia, nella quarta prova discografica della cantautrice inglese, sono rimasti soltanto la noia e il rimpianto di aver perso per strada uno dei talenti più promettenti degli ultimi anni.

 

Povera Laura, un tempo eri un’aquila… Oggi sei un uccellino che cinguetta incessantemente per un pubblico che, continuando di questo passo, a malapena si volterà ad ascoltarti.





01. Take The Night Off
02. I Was An Eagle
03. You Know
04. Breathe
05. Master Hunter
06. Little Love Caster
07. Devil's Resting Place
08. Interlude
09. Undine
10. Where Can I Go?
11. Once
12. Pray For Me
13. When Were You Happy? (And How Long Has That Been)
14. Love Be Brave
15. Little Bird
16. Saved These Words

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