Il doppio è un tema talmente caro ai Lef, che non solo arrivano a titolare il loro secondo disco in studio "Doppelganger" in onore dello snodo-chiave del "doppio passante", concetto fondamentale per lo studio della teoria Freudiana della psicoanalisi, ma persino doppia è la nazionalità della band, italo-inglese nel dettaglio.
Ora: poiché i nostri fanno il classico revival '10s della new wave '80s nel più canonico dei wave pop moderni, è davvero un peccato che l'influenza dell'isola di Albione non si faccia maggiormente sentire nella proposta dei Nostri. Perchè la wave è un genere assai particolare: vive di pathos, che serve a sorreggere la sempre imponente componente plastica ed estetica; senza una robusta impalcatura emotiva, il genere rischia di crollare rovinosamente su se stesso, con risultati al limite del parodistico. Ed è proprio in questa seconda, sventurata, ipotesi che ricadono i Lef, dove la pretenziosità di un'interpretazione vocale rivedibile in toto ci molla unicamente in una recita alla Massimo Volume su "Freedom (La Cella)" (perlopiù recitata, per l'appunto), oppure nel discreto groove melodico di "Il Silenzio Dei Crinali".
Il resto, e spiace dirlo, richiama una sorta di Bluvertigo di povera ispirazione o, se preferite, una pallida imitazione dei Litfiba (o Moda-senza-accento, tanto per rimanere in ambito Toscana "30 anni fa") prima maniera e, in un mercato ipersaturo di proposte musicali come queste, la clemenza è un lusso che non si può più concedere a buon mercato. Specialmente se, nel tentare di rivitalizzare il cadavere di una scena perfettamente spiegata dalla storia ed oramai dimenticata, non si propongono più che validi argomenti in grado oggi di far camminare "il mostro" sulle proprie gambe.