Alkaloid
Liquid Anatomy

2018, Season of Mist Records
Progressive Death Metal

Il prog death è raramente così prog come quando smette di seguire gli stereotipi: ascoltare "Liquid Anatomy" degli Alkaloid per credere.
Recensione di Matteo Poli - Pubblicata in data: 17/11/18

Il death metal, specie se ultratecnico e progressivo, può essere un terreno impervio.

 

Per chi lo pratica, uno dei rischi maggiori è scivolare sulle melodie e, a questo proposito, il giudizio degli ascoltatori è a tutt'oggi diviso tra chi ne approva o ne tollera l'uso e chi con pertinacia lo biasima come elemento affatto estraneo. Si potrebbe obiettare che vi è modo e modo di usarne. Tra queste pagine potete leggere il nostro giudizio non lusinghiero sull'uso che ne fanno i Monuments, gli Omnium Gatherum ed altri. Capita a volte invece che si incappi in quella band così abile tecnicamente, così ispirata, così intelligente ed originale nell'adoperare sì periglioso ingrediente da lasciare di stucco l'incauto audiente.


Questo è il caso dei bavaresi Alkaloid, alla loro seconda prova con "Liquid Anatomy"; i nostri nascono nel 2014 dall'esodo del batterista Hannes Grossman e del chitarrista Christian Muenzner dai technical deathster Obscura; sin dal suo esordio "The Malkuth Grimoire", la band ha messo brillantemente in chiaro l'intenzione di marcare la distanza non tanto dalle altre death prog act quanto dal sound degli ex-compagni Obscura.

 

"Liquid Anatomy" sorprende sin dalle primissime battute: l'opening track "Kernel Panic" assume le movenze iniziali di una ballad hard rock malinconica, molto effettata, che cresce gradualmente e si inferocisce via via, sino ad incrudelire quasi inavvertitamente nel death. Molto di rado capita di imbattersi in un inizio così sommesso e poi così sapientemente condotto nell'occhio del ciclone. "As Decreted By The Laws Unwritten" ci precipita nell'incubo infernale di un mid tempo reso serratissimo dalla doppia cassa e che richiama i migliori Morbid Angel. Sorprendente anche l'arrangiamento della perfetta "Azagthoth", che prende le mosse da un solo, fa un uso saggio ed originale del sussurrato e degli stoppati, si avvale di percussioni nelle strofe e ci aggredisce con un main riff tra più devastanti sentiti negli ultimi tempi. Siamo solo al terzo brano, e non riusciamo a non stimare la ricerca di soluzioni originali in un genere spesso accusato di ingessarsi sul canone dei grandi nomi di fine anni '80. Il sound degli Alkaloid sembra far tesoro dei bistrattati anni '90, quelli metal e non quelli grunge, fin troppo esaltati. La title track è una struggente litania metal che sembra nutrirsi di linfa lunare, dimostrazione di come la band sia abile a dosare i suoi mezzi con diversi esiti e con padronanza tecnica che di regola evita il virtuosismo (a parte qualche sweep di troppo qua e là) senza perdere di vista il pathos. A metà album pensiamo incautamente che il meglio sia alle nostre spalle: madornale errore. Le armi più letali la band le ha in serbo per il secondo tempo.


"In Turmoil's Swirling Reaches" prende le mosse dall'atmosfera armonica del brano precedente ma presto si incendia e vira alla virulenza death, sì, ma dalla furia ancora rattenuta se paragonata a quella delle successive "Interstellar Boredom", cupissima e sarcastica, e della straordinaria "Chaos Theory And Practice", apice del lavoro, in grado di gettarci in un tritacarne di ritmiche forsennate ed armonie dissonanti come di librarci nei cieli di una calma tanto temporanea quanto sinistra. Apprezzabile anche l'uso ipnotizzato e straniante di alcune sovraincisioni di chitarra che tessono suggestioni di vago esoterismo subliminale. Questo intendevamo all'inizio, quando parlavamo di modo e modo. Le armonie, ma meglio ancora dire le atmosfere, sono dosate nel lavoro con tale gusto e padronanza, da costituirne il collante, l'elemento di forza e il giusto sfondo, trampolino alla furia delle parti strettamente death. Merito anche dell'ottimo ed originale lavoro dietro al microfono del singer Morean. L'arte è anche saper giocare sul contrasto, sui chiaroscuri.


Sontuosa chiusura del lavoro è la torrenziale, commovente, ultrastrutturata (oltre 19 minuti) "Rise Of The Cephalopods", variazione su un tema elementare che dispiega tutte le qualità emerse nel corso dell'ascolto, in particolare la capacità di gestire le dinamiche, e lo sigilla con gran classe. Delizioso l'esoterismo poetico delle liriche, che mescolano con disinvoltura mitologia indiana, finnica, ebraica e lovecraftiana. Si potrebbe dire che si tratti più di un disco prog metal con picchi death/grind, che di prog death, senza togliere nulla alla grandezza del risultato. Se le intenzioni di Hannes Grossmann, che è anche responsabile della produzione e missaggio presso i Mordor Sound Studios, erano costituire un'alternativa di valore all'omogeneità un po' sconfortante del panorama prog death europeo, può dire a testa alta di essere riuscito nell'intento.





01. Kernel Panic
02. As Decreted By The Laws Unwritten
03. Azagthoth
04. Liquid Anatomy
05. In Turmoil's Swirling Reaches
06. Interstellar Boredom
07. Chaos Theory And Practice
08. Rise Of The Cephalopods

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