In principio, prima che i supergruppi nell'universo del prog divenissero consuetudine, vi erano i Liquid Tension Experiment. Eravamo ancora in un altro millennio quando quattro signori del prog che rispondono a nome di Tony Levin, Mike Portnoy, John Petrucci e Jordan Rudess decisero di avviare un progetto insieme, dando vita ad una sorta di elite musicale, un raro assortimento di tecnica che sembrava piovere direttamente dal mondo dell'iperuranio. Eravamo in un altro millennio anche quando il secondo e ultimo dei loro lavori, "Liquid Tension Experiment 2", vedeva la luce, e ora ci troviamo, a 22 anni di distanza, ad accogliere il suo successore dal sorprendente nome "Liquid Tension Experiment 3".
L'impatto è travolgente, una sorta di premessa a chiare lettere: quattro lustri in più d'età non hanno certo rammollito gli LTE. "Hypersonic" esordisce ad un ritmo impressionante e lo fa abbracciando subito il chiaro stampo Dream Theater che il gruppo non può non avere, vista la militanza di ben 3 membri del nucleo storico. Nella sfilza di note prodotte dalla chitarra di Petrucci si avverte l'inconfondibile marchio di fabbrica del chitarrista newyorkese, mentre la tastiera di Rudess si lascia andare ad accenni classici a la Bizet e Mike Portnoy, beh... fa il Mike Portnoy.
Il disco prosegue con "Beating The Odds", brano che ammicca ai Rush grazie al principale riff di chitarra fortemente ispirato ad Alex Lifeson e allo stampo melodico ottantiano delle tastiere. "Liquid Evolution" pone un freno al ritmo dell'album, adagiandosi su atmosfere più zen in cui il caratteristico Chapman Stick di Levin sale finalmente in cattedra ad accompagnare, assieme ai richiami orientaleggianti dei synth, il solito intenso assolo di Petrucci.
"Chris & Kevin's Amazing Odyssey" è un la perla inaspettata del disco. In questo pezzo i Liquid Tension costruiscono un tessuto drone che si regge sull'onnipotenza batteristica di Portnoy e l'effettistica delle chitarre, prima di entrare in un crescendo di intensità più strutturato guidato dal basso di Tony Levin. In netto contrasto con le atmosfere dark di quest'ultima traccia, arriva altrettanto inattesa la leggerezza quasi scherzosa di "Rhapsody in Blue", a dimostrare la connaturata duttilità del quartetto, ancor più in mostra nei brani di chiusura, dove diventa protagonista addirittura il pianoforte.
Insomma, "LTE3" è quasi esattamente l'album che ti aspetti da questi quattro mostri sacri del genere. Quasi, perché tale affiatamento non ce lo si aspetterebbe da una formazione che si chiude in uno studio per la prima volta dopo 20 anni. Quello che sentiamo potrà non essere tutto nuovo o coinvolgente allo stesso modo, ma è sempre bello immergersi in cotanta abilità tecnica e disinvoltura nel songwriting.