“Twilight Kingdom” è un dono: il dono di quella pura trascendenza che la musica, la più immateriale tra le arti, spesso evoca, ma al cui profondo e totale rapimento è arduo pervenire. La bella voce da contralto di Lisa Gerrard ha saputo, una volta ancora, farsi veicolo e chiave del viaggio verso il senso nascosto e universale dei suoni. La sua ultima opera da solista è un dono ispirato, capace di mettere in moto e concentrare gli stati interiori dell’ascoltatore, inducendolo ad un raccoglimento assoluto in cui si levano, cangianti, emozioni e suggestioni.
Dall’attesa carica di presagi dell’introduttiva “Blinded”, all’epifania arcaica e misteriosa di “Adrift”, un crescendo di illuminazione che trascolora emotivamente dalla desolazione all’attesa estatica; dall’atmosfera rarefatta di “Our Kingdom Came” alle visioni di “Estelita”, e ancora oltre, negli abissi immaginativi di “Neptune” e nelle lontananze sonore di “Seven Seas”… Se mai esiste, in musica, una topografia che descriva non tanto la vibrazione fisica del suono, ma il moto evocato nell’animo, nel caso di Lisa Gerrard non può che trattarsi del movimento verticale: quello di elevazione dalla carne allo spazio perfetto delle idee pure, e quello dell’immersione nelle profondità di una coscienza universale.
L’armonia di “Become”, gli orizzonti di “Too Far Gone”, la meditazione di “Of Love Undone” e l’enigma di “The Veil”: l’arte della Gerrard (così come quella dei Dead Can Dance) somiglia ad un’iniziazione, ad un rito che chiede adesione e la cui ricchezza, a quel punto, supera l'espressione a parole; meglio tacere, allora, e lasciare che la sua chiamata ammali coloro a cui è riservata.