Troppe cose sono successe negli ultimi 365 giorni. E molte non sono nemmeno potute accadere. Li abbiamo lasciati lì, alla vigilia di una disastrosa pandemia, gli inglesi Loathe, eretti a difendere il loro monumento "I Let It In And It Took Everything", un album fenomenale che ha sancito, di fatto, l'esplosione definitiva della band con una cavalcata errante nei primi posti della maggior parte delle top charts dell'anno passato (potete leggere la nostra qui). La band è riuscita magnificamente a spiazzare tutti, tirando fuori dal cilindro un raro amalgama di generi ed immagini multiformi e stranianti, capaci di disturbare prepotentemente e, al tempo stesso, di catapultare l'ascoltatore in un universo completamente nuovo.
Dopo un successo del genere, chi mai poteva aspettarsi un nuovo full-length ad un solo anno di distanza dal predecessore? Messaggi criptici su vari social hanno annunciato l'uscita di "The Things They Believe", scatenando una miriade di dubbi tra i fan sulla natura della release, tra ipotesi di EP e B-Sides. Invece, così come confermato dalla band, il disco è a tutti gli effetti il loro terzo LP ufficiale, che va ad amplificare ulteriormente il meritato successo che gli inglesi stanno vivendo. Bisogna, però, avvertire i molti che si erano già predisposti nel loro angolino degli ascolti, pronti a farsi sovrastare di nuovo dal sound letale del quintetto di Liverpool: qui, di Loathe, c'è ben poco. O, perlomeno, c'è ben poco del precedente disco.
"The Things They Believe" è un album ambient completamente strumentale, frutto di idee maturate nel corso degli anni e portate a termine durante il lockdown. Il synth va a sostituire di netto tutto l'apparato strumentale e vocale, andando a generare una camera di decompressione per chi fosse rimasto immerso troppo a lungo nell'abisso caleidoscopico di "I Let It In And It Took Everything". Una sorta di "cura Ludovico" al contrario, dove non ci sono costringimenti e inibizioni, ma solo visioni anti gravitazionali, che fluttuano e circondano la nostra mente, imprimendo al suo interno una sensazione di libertà senza peso. Spiegare a parole un'esperienza del genere risulta piuttosto complesso, così come parlare di una specifica traccia in particolare: si potrebbe menzionare l' ottima title track, così come i suoni liquidi mescolati al sax sfumato di John Waugh in "Love In Real Time" e "The Rain Outside...". Pezzi come "The Year Everything And Nothing Happened" o " Perpetual Sunday Evening" non possono che riesumare il vano ed insipido flusso di tempo che ha caratterizzato il duro periodo della pandemia, quando i giorni si rincorrevano l'un l'altro senza un particolare scopo. È difficile ascoltare in maniera segmentaria un album che dovrebbe essere assimilato senza interruzioni o disattenzioni.
Tanti rimarrano assolutamente insoddisfatti da un ascolto del genere, molti altri sapranno apprezzare il lato esplorativo di una band che ha appena iniziato a sondare tutte le sfaccettature della propria natura. D'altronde i Loathe ci avevano già mostrato apertamente il loro gusto per l'ambient in intermezzi come "451 Days" o "A Sad Cartoon (Reprise)", ma anche in ciò che va oltre la musica stessa, come gli artwork criptici ed alienanti. Il miglior modo di fruire senza intoppi un lavoro del genere è considerarlo come una sorta di corridoio di transizione dove, mentre ci si incammina verso il disco successivo, si possono assorbire a mente aperta ologrammi multiformi e suoni variopinti che vanno ad adagiarsi sulle nostre retine e sui nostri timpani. Rimettete "I Let It In And It Took Everything" sul giradischi, poi chiudete gli occhi e ascoltate "The Things They Believe". Buon viaggio.