London Grammar
If You Wait

2013, Metal & Dust
Indie/Pop

Recensione di Riccardo Coppola - Pubblicata in data: 19/03/14

Si sa che ogni periodo storico porta in dote un suo dramma indimenticabile, una sua calamità destinata a lasciare cicatrici indelebili sulla pelle dell'umanità intera. Un tempo ci fu la tratta degli schiavi, qualche secolo prima la peste nera; la mia generazione, invece, sperimentò la nascita dei free blog a uso e consumo di frotte di adolescenti: spazi virtuali ammorbati dalle storie di vita di quindici-sedicenni dediti a vergare lacrimoso inchiostro digitale, incorniciandolo in sbrilluccicante chincaglieria grafica.

 

Molti di noi, chi prima di dopo, riuscirono ad uscirne. Stando a quanto testimoniato dai testi dei suoi brani, Hannah Reid (classe 1992) sembra invece non avercela fatta, ed aver trovato nella musica dei suoi London Grammar un meccanismo espressivo vieppiù analogo al defunto Windows Live Spaces: sostituite le scritte glitterose di regola con gli altrettanto glamour delay e sussurri maschili dell'indie female-fronted, scarica tra le note di "If You Wait" una interminabile lista di drammi esistenziali ("You'll never know what was like to be fine") e complessi d'inferiorità ("I don't have a skin like you do... I don't have a soul like you do"). Tanto fitta da non permettere un ascolto del disco che possa filare via liscio, senza che ci si senta addosso una spessa coltre di inadeguatezza, una sensazione di astio nei confronti di un mondo per natura crudele e per nulla comprensivo.

 

Eppure, prese singolarmente, buona parte delle canzoni in tracklist (tolte magari "Metal & Dust" e i suoi synth di plastica da metà degli anni '90, o "Flickers" e i suoi pasticciati tribalismi) rivelano essere ballate non indimenticabili ma piacevoli, talvolta anche toccanti: è così nel ritornello in crescendo, con i perfetti inserimenti di piano e incalzante batteria, di "Wasting My Young Tears", oppure anche nei violini e nei lunghi virtuosismi di voce piena (un po' vissuta, in stile Lana Del Rey) sulla title track posta in chiusura. E' vero anche che, in un genere in cui il numero di band che arrivano all'esordio è inversamente proporzionale all'innovazione che propongono, i London Grammar condividono la sorta di decine e decine di gruppi del tutto sovrapponibili a un ristrettissimo nugolo di generatori di tendenze (gli XX, nella fattispecie). E nella mancanza di un qualsiasi elemento memorabile - come può essere la sinuosa indole notturna della già citata band di Romy Madley Croft, o la decadente profondità di altri malinconici cronici come i Daughter - le possibilità di attirare più di qualche fugace attenzione non possono che essere parecchio scarse.





01. Hey Now

02. Stay Awake

03. Shyer

04. Wasting My Young Years

05. Sights

06. Strong

07. Nightcall

08. Metal & Dust

09. Interlude (Live)

10. Flickers

11. If You Wait

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