Lonely Robot
Please Come Home

2015, InsideOut
Prog Rock

Recensione di Riccardo Coppola - Pubblicata in data: 12/03/15

Non si può certo dire che John Mitchell sia stato inoperoso nel corso dell'ultima quindicina di anni. Arena, Kino, It Bites, Frost*: svariati outfit prog si sono infatti avvalsi della caratteristica, morbida e pacata voce e dei virtuosismi alla chitarra del musicista britannico. Lonely Robot nasce come primo progetto interamente ideato, composto e realizzato da Mitchell, che per l'occasione si insedia anche dietro le tastiere e si circonda di una pletora di rinomate guest star (da Steve Hogarth, frontman dei Marillion qui però presente soltanto alle backing vocals e al piano, fino al caratterista inglese Lee Ingleby, presente in veste di narratore del concept).

"Please Come Home" poggia le proprie fondamenta su un concept dal taglio sci-fi e dagli spunti discretamente interessanti: la messa in dubbio che l'umanità per come la conosciamo sia autoctona della Terra, e l'insinuazione (assunta come evidenza probatoria la tecnologia fin troppo avanzata di una serie di antiche civiltà) che fosse nata e si fosse evoluta altrove, per poi decidere di fare una lunga scampagnata sul nostro attraente pianetino verde e azzurro. Si gettano in tal modo le basi per il grandioso space rock che apre pomposamente l'album, con voci femminili da profondità siderali che s'avvolgono a un pregevole assolo di chitarra su un vasto spettro di echi di tastiere, per le futuristiche robotizzazioni che si impossessano delle voci sulla evocativa "A Godless Sea", per le comunicazioni radio che affiorano sulle durezze prog metal della drammatica mini-suite "Are We Copies".

Ma l'esordio di Lonely Robot si concede ampi momenti per lanciarsi in un'introspettiva esplorazione della vita e della coscienza umana, adeguando a tali intimiste tematiche anche il proprio sound. Ed è proprio qui che un prog altrimenti decisamente coinvolgente finisce per assumere i non proprio entusiasmanti connotati di un certo melenso AOR: se infatti la title track si distingue per uno spensierato e sorprendentemente gradevole piglio mainstream, è più difficile accettare i tuffi a bomba nel pop anni '80 ("The Boy In The Radio", nella quale le vocals vengono affidate a un reduce dell'epoca, Peter Cox dei Go West) o anche anni '90 (il duetto su Heather Findley su "Why Do We Stay", che genere a parte duella in quanto a stucchevolezza con certi testa a testa uomo-donna degli Avantasia, e quello con Kim Seviour sulla morbidissima "Oubliette", solo parzialmente riscattata da un bridge arrabbiatissimo).

Poco male, comunque: "Please Come Home" si mantiene in ogni caso un album dignitosamente vario e perfettamente suonato e prodotto, pane per i denti di qualsiasi amante di quel prog rock fantascientifico tanto classico da essere sempre al limite dello stereotipato. Un'opera, però, che non fa nulla per non lasciare totalmente freddo chi dal genere pretende contaminazioni e cambiamenti di rotta: le prime sono infatti assenti, i secondi, come detto, puntano tutti in direzioni sbagliate.



01. Airlock
02. God Vs. Man
03. The Boy In The Radio
04. Why Do We Stay
05. Lonely Robot
06. A Godless Sea
07. Oubliette
08. Construct Obstruct
09. Are We Copies
10. Humans Being
11. The Red Balloon

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