Lonely Robot, pseudonimo di John Mitchell in un progetto che prende vita dalle idee dell'artista polistrumentista inglese e da una formazione che lo vede affiancato da Craig Blundell alla batteria, giunge alla pubblicazione del suo nuovo lavoro, "The Big Dream". Il secondo capitolo della fantascientifica trilogia intrapresa con "Please Come Home", prosegue il suo viaggio incentrato sulla storia di un astronauta, stavolta catapultato all'interno di uno scenario popolato dalle strane creature che figurano nell'artwork.
Un titolo più azzeccato questo album non lo poteva avere. Sì, perché, fin dalle prime battute, l'ascolto è immerso in un'atmosfera degna del sogno più inquietante. La ricorrente quanto piacevole combinazione dominata da pianoforte e voce narrante contribuisce periodicamente a caricare di pathos il mood di "The Big Dream", facendoci immergere totalmente in quelle che sono le visioni dell'artista. Tra i temi più evidenti è, infatti, la morte: "go to sleep and never wake up", è la frase che echeggia poco dopo aver sentito l'intensa chitarra di Mitchell squarciare l'atmosfera lenta e malinconica della bellissima "In Floral Green".
E se, da sempre, la malinconia trova il suo genere musicale prediletto nel prog, questo lavoro certo non delude, mostrando un alto contenuto del suddetto genere. La prima sezione dell'album presenta da subito un ottimo livello sia dal punto di vista melodico che da quello dell'interpretazione vocale di John Mitchell. "Awakenings" fa sfoggio di una sezione ritmica impreziosita dal curato e sapiente uso delle tastiere, mentre "Sigma" ed "Everglow" rapiscono soprattutto grazie a chorus molto azzeccati. Come ci si poteva aspettare, gli assoli di chitarra sono quasi onnipresenti nella tracklist di "The Big Dream", raggiungendo l'apice nel riscattare pienamente non solo la seconda parte di una title-track che prima faticava a decollare, ma anche una parte centrale in netto calo, come dimostra la banalità di "Symbolic".
Emozionale il riferimento al precedente "Please Come Home", presente negli ultimi sussurrati versi della stessa title-track, così come emozionale e pregevole è il finale dell'album, che riassesta il lavoro su ottimi livelli. Dopo la struggente "Hello World Goodbye" e "Epilogue (Sea Beams)", che crea un punto di ritorno al prologo, le sensazioni che ci restano da "The Big Dream" sono nettamente migliori rispetto a quelle del predecessore. Si tratta infatti di un prodotto diverso, non certo perfetto, a tratti leggermente ampolloso, ma che dà prova di un miglioramento notevole nel processo compositivo, nel quale John Mitchell riesce a far fluire più liberamente le proprie malinconiche ispirazioni, e grande potenziale in vista del già annunciato terzo capitolo.