Long Distance Calling
Boundless

2018, Inside Out
Post Rock

La band teutonica torna sulla scena con un album interamente strumentale, ricco di energia e dinamicità.
Recensione di Federico Barusolo - Pubblicata in data: 03/02/18

I Long Distance Calling sono una band che ha solidificato in modo consistente le basi del proprio sound negli ultimi anni, arrivando non solo ad affermarsi tra le più interessanti realtà post rock in circolazione, ma anche a dimostrare quanto in realtà una tale etichetta possa starle addirittura stretta. Nata come quartetto di talentuosi musicisti principalmente votati a lunghe tracce strumentali, la compagine tedesca ha poi sempre più integrato i vocals nel proprio stile musicale, arricchendosi di volta in volta di collaborazioni di un certo livello, tra le quali quelle con John Bush (ex Anthrax) e Jonas Renkse (Katatonia).


Con "Boundless", invece, quella che si registra è una nuova inversione di tendenza, che riporta i LDC ai canoni del post-rock più propriamente detto, per mezzo di una release interamente strumentale. Da subito è chiaramente distinguibile lo stile portante dei teutonici, dominato dai fraseggi massicci delle chitarre di David Jordan e Florian Füntmann, che strizzano l'occhio a sonorità decisamente post e progressive metal. La sensazione prevalente è però che le prime tracce pecchino di superficialità ed eccessiva ridondanza, caratteristiche che si manifestano particolarmente con "Ascending", che, a discapito del titolo, fatica a decollare, trattenuta dal peso della rocciosa base di riff.


Tutt'altra storia si ha invece con "In The Clouds", brano che finalmente esplora in modo più dinamico l'intera gamma di opzioni a disposizione del gruppo. A partire da un'atmosfera inizialmente cupa e segnata da sintetizzatori ed interessanti ritmiche elettroniche, si mette qui in mostra un accattivante crescendo, sul quale si destreggiano delle chitarre decisamente "sgrezzate". In questo contesto viene fatto sapiente uso ora di bending (sempre molto devoti alla scuola di David Gilmour), ora del pedale del wah-wah, prima di raggiungere l'apice assoluto della traccia per intensità e velocità. "Like A River" arriva poi un po' inaspettata, a riproporre caratteristiche blues rock in realtà per nulla nuove ai tedeschi, stavolta con un deciso tocco western, che la renderebbero particolarmente adatta ad un film di Sergio Leone. Questa piccola perla dell'album vede, tra i suoi interessantissimi elementi, farsi strada una sezione di archi che accompagnerà anche i pezzi successivi in un nuovo crescendo di intensità.


Ci si avvia quindi a conclusione con "Weightless", introdotta da un mood nettamente più mansueto e rilassato, nel quale lo slide, correndo su e giù per il manico di una chitarra, dà vita ad un caldo assolo inconfondibilmente devoto a suggestioni floydiane tipiche di "The Division Bell". Da qui si arriva dunque al capolinea con nuove e brusche accelerate che danno vita ad un'energica "Skydivers", ottima conclusione per "Boundless".


Difficile dire che i Long Distance Calling siano ulteriormente migliorati con questa nuova release. Più semplice e realistico è invece constatare, su di una solida base costruitasi con gli anni, l'inserimento di qualche spunto interessante. Le capacità tecniche e il groove consolidati della band tedesca non sono in discussione in un solo secondo dei totali 50 minuti circa di "Boundless" e l'esplosività travolgente che ne scaturisce rendono l'album assolutamente piacevole nella sua totalità. Doveroso è, d'altra parte, sottolineare qualche momento di stagnazione dal punto di vista della creatività ed originalità, soprattutto in avvio, che fa pensare ad una eccessiva premura di mettere carne al fuoco e di inspessire la struttura di riff e assoli, lasciando meno spazio alle qualità, che sgorgano invece più facilmente in un secondo momento.





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