I riff potenti, i cori, gli assoli... tutti i codici tipici del genere li ritroviamo già da "Out in the City", brano che presenta sin dall'inizio tutto ciò che vedremo successivamente e per il quale siamo ormai abituati a riconoscere un genere già ampiamente esplorato. Il tutto prosegue uniformemente per le successive "Gone By the Morning", "Flammable" e "Back from the Shadows". Tutti brani potenzialmente pubblicabili come singoli per via del loro andamento molto accattivante. Poi è la volta della title track, "Losing Gravity". La tradizione dei dischi hard-rock vorrebbe che la traccia numero cinque fosse la ballata e, sebbene in questo caso non si possa accomunare il brano alla tradizione vera e propria, "Losing Gravity", con un'atmosfera più on the road, rappresenta un perfetto stacco che conferisce respiro al disco. La successiva "Sweet Mary Jane", infatti, con un sound fresco e quasi glam, ci riporta dove ci eravamo lasciati con le prime quattro tracce. Inevitabilmente, da qui in avanti, il disco pare riprendere pedissequamente gli stilemi di genere, soprattutto con il già citato singolo "Move", brano che, in gergo concertistico potremmo definire riempi pista. "Would You Do It Again", la penultima traccia, è senza dubbio quella dal sound più «attuale» - anche se più propriamente apparterrebbe ai primi anni Duemila - e potrebbe benissimo figurare nella colonna sonora di qualche sit-com dai toni tragicomici. "Buttleproof", la traccia conclusiva, anch'essa vicina al mondo on the road, ripercorre ancora una volta la stessa strada battuta dai primi quattro brani.
Un album interessante il quale, tuttavia, soffre della stessa «sindrome della fotocopia» che ha caratterizzato il mondo del hard-rock negli ultimi anni. Se da un lato la prima parte vola via molto facilmente, la seconda soffre di un sentore di «già sentito», ma non necessariamente è un male per una band che si era proposta come amante del retrò.