Nel 2016 però, le strade di Gaz e Johanna si separano e i Lucifer si trovano in momentaneo stand by, fino a quando Johanna, dopo una casuale conversazione con lui, recluta infine l'amico e sodale del rock/metal, il batterista e chitarrista Nicke Andersson (Entombed, Imperial State Electric, The Hellacopters) ed eccoci infine a "Lucifer II". Dove collocare l'atteso seguito? Certo in un territorio assai diverso dal suo predecessore; la componente stoner/doom è notevolmente ridimensionata, in favore di un'immersione totale nel sound e nelle soluzioni dei Seventies. La sensazione è che, mentre nel debutto la conduzione era a due binari, qui ci si muova sulla monorotaia dell'amore di Johanna per i suoi modelli, amore che non lesina nei tributi più o meno espliciti ai grandi del passato e che ambisce a creare una sorta di nuovo classico, non senza una strizzatina d'occhio ai ben più recenti Wolfmother. L'album è inciso nello studio di Nicke a Stoccolma, The Honk Palace, dove le due menti operative del progetto lavorano con la collaborazione di Robin Tidebrink alle chitarre e sotto la supervisione del produttore svedese Ola Ersfjord (Tribulation, Primordial, tra gli altri), a cui è affidato il missaggio.
Il disco è complessivamente assai meno oscuro ed esoterico, ma anche meno pesante nei suoni del precedente; più solare e bluesy ed anche il cantato di Johanna è meno etereo che nel debutto, più legato alla solidità classica delle linee rock. Dà l'idea che tutti si divertano assai di più ma è lecito chiedersi: e l'ascoltatore? Diciamo che l'omaggio ai classici funziona fino ad un certo punto e, a lungo andare, rischia di annoiare e di cadere banalmente nel già sentito mille volte. Rischia, ma il più delle volte evita la secca grazie al fascino della voce. Il più delle volte, sì, ma non sempre, perchè anche l'interpretazione della Sadonis non è a nostro sentire sempre sul pezzo, a tratti risulta monotona e lontana dal cuore del brano. Per un progetto in cui si punta così tanto sulla vocalità, quest'ultima deve dominare il pezzo, non semplicemente collocarvisi dentro, per quanto con gusto, garbo e talento. Dopo diversi ascolti, permane la sensazione che, pur nella competenza e nella professionalità di tutti e nonostante la qualità dei brani e della produzione, all'insieme manchi qualcosa. Peccato, perché gli ingredienti sembra ci siano tutti. Sembra, ma a volte ciò che si progetta a tavolino o si sperimenta sotto vuoto, in uno studio di registrazione, riesce diverso una volta liberato all'aria e al mondo. Forse il gruppo ha bisogno ancora di affiatarsi come live band, di sperimentarsi sul palco, dove i nodi vengono sempre al pettine. Poco dopo la fine delle incisioni la band trova gli ultimi due componenti: Martin Nordin dei Dead Lord alla seconda chitarra e l'australiano Alex Mayr al basso, e firma con la Century Media Records. Ci auguriamo che i festival estivi in cui sarà impegnata, ne rafforzeranno l'incisività e lo spirito. Nel frattempo, gustiamo con dolcezza il frutto di Lucifero, che ci riporta ad altre epoche, altri mondi. Piacevole, con una punta amarognola.