"La fine delle invasioni straniere. La soppressione dei confini. Lo smantellamento completo della prigione industriale. Sanità, alloggio, cibo e acqua riconosciuti quali diritti umani inalienabili. Gli esperti che hanno sfasciato questo mondo non potranno mai più parlare".
Le richieste dell'Imperatore Nero sono ferme e non ammettono repliche: dichiarazioni allegate al nuovo album dei Godspeed You! Black Emperor, quel "Luciferian Towers" dal titolo commemorante il feroce orrore che colpì la Grenfell Tower nel quartiere londinese di North Kensington. La macabra disuguaglianza di classe che il disastro rivelò poche settimane prima dell'annuncio del disco ferì la sensibilità dei nostri. La rabbia avvampava: "Abbiamo registrato tutto in un motoscafo in fiamme, mentre il vento fischiava attraverso i 3.000 buchi ardenti delle finestre. La foresta sta bruciando e presto ci daranno la caccia al pari dei lupi". Il collettivo più apertamente militante del post-rock dunque in assetto da sommossa, pronto a lanciare il famigerato cadavere del neoliberismo sulla pira dell'apocalisse costruttiva: scenari grigi e oppressivi in procinto di estirpazione.
Il sound generale dell'opus tuttavia non ha nulla in comune con l'inferno: i riff polverizzanti e le oscure astrazioni orchestrali che caratterizzavano "Allelujah! Don'T Blend! Ascend!" (2012) e "Asunder, Sweet And Other Distress" (2015), ora scompaiono; il sinistro ronzio rumorista, calma ansiosa anteriore alla tempesta, si apre al dialogo strumentale. La proposta dei musicisti québécois, legata concettualmente a un convinto radicalismo politico, trasmette speranza piuttosto che disperazione, il principio che lottare contro i potenti rappresenta una battaglia che vale la pena combattere invece di arrendersi a una soluzione scontata. Un'idea che anima l'opera dallo spirito maggiormente positivo prodotta dal gruppo sino ad oggi.
"Undoing A Luciferian Towers": ovvero il riscaldamento in preparazione di una gara che non conoscerà picchi di frenesia. Un valzer slow-tempo in lamentosa dissonanza si fa strada attraverso il brusio costante delle chitarre, in una nostalgica armonia di note in grado di fungere da colonna sonora in onore di eroi calpestati dal capitalismo: sugli scudi l'egregio e sottile lavoro dietro le pelli dei due batteristi Aidan Girt e Timothy Herzog, mentre Craig Pederson alla tromba e Bonnie Kane al sax e al flauto riempiono ogni spazio disponibile di pillole di euforico noise. La tripartita "Bosses Hang" costituisce una vetrina per le abilità anthemiche dell'ensemble: incentrata su semplici e commoventi euritmie, dalla cadenza calda e piacevole, la suite rappresenta uno sforzo meno complesso rispetto all'usuale cliché, eppure i canadesi riescono a cavare gemme dall'apparente linearità. La melodia si spiega lentamente, si agita avanti e indietro come stendardo sulla barricata, seduce la scala pentatonica, aumenta la velocità richiamando alle sinapsi il crescendo in chiusura di "Baba O'Reilly" dei The Who: poi il collasso e la ripresa del placido corso. Il lotto si conclude con un'ulteriore composizione in tre movimenti, "Anthem For No State": le percussioni e gli archi oscillano anziché percuotere e stridere, in una malinconica atmosfera che congiunge miraggi di frontiera ed epopea morriconiana in quindici minuti di anarchia, distruzione e catarsi. Nel mezzo della coppia pantagruelica spicca la sperimentale e celestialmente concrète "Fam/Famine", un volo dronico verso spirali di caotica solitudine.
Impeccabile e cristallino, "Luciferian Towers" manca volutamente di impeto: nel corso di una lunga carriera, il leader Efrim Menuck e i numerosi collaboratori sono stati capaci di creare un profilo sonoro di pura cerebralità avanguardista, abrasiva e avvolgente. I Godspeed You! Black Emperor mutano approccio e si immergono in una fase inedita, allontanandosi dalla magia minacciosa delle tipiche evoluzioni del passato: non abbattono solo torri, costruiscono anche ripari tra le rovine.