Perché, se così fosse, la raccolta di lagne confezionata dal duo statunitense-australiano sarebbe un capolavoro assoluto e indiscutibile: accompagnata da una componente strumentale minimalista quando non praticamente impercettibile (tolto qualche timido tocchetto agli ultimi tasti del piano, come nell'opener "Small Window", o qualche lacerante inserto di violino, come nella conclusiva "Star", il tutto si limita a un'interminabile serie di arpeggi indistinguibili l'uno dall'altro), la vocalist Zoë Randell si muove a suo perfetto agio tra il noioso e l'assolutamente soporifero, con voce sì calda, ma al tempo stesso d'una piattezza imbarazzante, indolente, e priva del benché minimo accenno di vitalità.
Chi scrive, purtroppo, fa parte di quella schiera d'ascoltatori che dal genere a cui quest'album appartiene s'aspetta quantomeno il tentativo di coinvolgere, d'offrire uno spettro d'emozioni che vada oltre una monocromatica, asettica, impenetrabile malinconia. Paradossalmente, durante l'ascolto, a regalare sorrisi e speranze non sarà il tremolante e per nulla convinto ottimismo della coda della title track ("And as you go, know I love you so"), ma piuttosto la puntualizzazione della fugacità d'ogni cosa e d'ogni essere, affidata alla lunga lista di morti che riempie il testo dello stesso brano: si realizza tra un verso e l'altro che, come il povero agnello o il piccolo uccellino dall'ala rotta, anche "Passerby" avrà presto una fine. E si è istantaneamente un po' più felici.