“Sopra a un'onda che mi tira su, rotolando verso Sud”, cantavano i Negrita qualche anno fa... Oggi i M’ors, interessante sestetto capitanato dal cantautore Marco Orsini, pubblicano il loro debutto omonimo e riprendono atmosfere strettamente africane e folk rock già care alla band toscana, facendo però della chitarra – acustica o elettrica a seconda dei casi – uno dei propri punti di forza.
Pur non mostrando un lato tendenzialmente radiofonico, i Nostri stupiscono per ben altri motivi. Per esempio, uno di questi potrebbe essere l’uso incondizionato del panorama italiano come “musa ispiratrice”, filtrato attraverso un’ispirazione cantautorale anni 70’. Sì, il fatto che riescano a far suonare la loro musica “felice e libera” (ed ecco spiegata la citazione liberatoria ai Negrita) pur esprimendo tristezza nei testi – cosa tutt'altro che comune per questo genere – stupisce non poco. Orizzonti culturali sconfinati dove razzismo e colore della pelle non suscitano sguardi di accusa e di spregio.
L'album è ricco di spunti interessanti: le spensierate e campagnole atmosfere di “Eritrea” lasciano spazio alla visione problematica del nostro paese filtrata attraverso gli occhi di Gramsci (“Il mio amico Gramsci”). Un piccolo concept è invece rappresentato dalla spensierata “Rock-co-co-co”, il sogno di un’astronave “rockettara” che rende il mondo meno triste con l’aiuto dei suoi raggi verdi. La finale “Il Lungo Viaggio” è probabilmente il fiore all'occhiello di “M'ors”, la storia di una donna di colore incinta, divisa tra gioie e dolori nel viaggio che la porterà in Italia.
Il sound dei M'ors, pur non variando particolarmente durante l'intera durata del disco, si mantiene fresco e godibile e si fa apprezzare soprattutto in virtù dei suoi contenuti “sociali”. Buono, infine, il mixaggio a cura di Manuele Fusaroli, un maestro della musica indie italiana.