I Magi hanno sono nati quattro anni fa come un side project di Brandon Helms, già anima dei From Oceans To Autumn e Mountains Among Us Fame, che aveva come obiettivo principale quello di esplorare i territori del drone metal. Da quell’idea iniziale il progetto si è evoluto con il tempo in qualcosa di più complesso, strizzando l’occhio a band come YOB, Rorcal, Jesu, Neurosis, e molte altre; un lavoro che si rende concreto oggi con la pubblicazione del primo album studio: “Forget Me Not”.
L’album di debutto dei nordamericani è costruito su una base doom/sludge e post metal che viene scolpita con elementi post-rock, ambient e drone. Ritmi lenti e pesanti, atmosfere sporche e soffocanti; tutto questo, assieme all’alternanza tra growl e voce pulita, costituisce i cardini su cui poggia il disco. Facile ritrovare tutte queste caratteristiche in molti dei brani inseriti in scaletta, vedi “The Silence We Display” o “Mystic”. Tutti elementi rintracciabili anche in quella che è probabilmente la traccia migliore del lotto, “A Million Questions”, in cui si può notare anche come, con lo scorrere dei minuti, tra i pesanti riff sludge s’inseriscano sempre più elementi e suoni d’atmosfera, capaci, assieme al fondamentale contributo della voce pulita, di spazzare via almeno parte delle nere nuvole dipinte dalla prima parte della composizione. In questo modo i Magi riescono ad ottenere quel climax in crescendo tipico del post rock, capace di far salire tensione ed emozione. C’è poi il caso di “Stories”, forse il brano che più di tutti si discosta dalla formula base seguita dai suoi autori, in cui è lasciata da parte l’anima più aggressiva per costituire un brano più etereo e sfumato, dominato da un mood riflessivo e da voci rilassanti. Le sperimentazioni drone su cui doveva basarsi inizialmente il progetto Magi si sono allargate dunque a uno spettro molto più ampio d’influenze, pur essendo i droni presenti in una buona parte dei pezzi realizzati, come ad esempio in “Footsteps”.
“Forget Me Not” è di per sé un buon album. E’ capace di muoversi su di un percorso che sta a metà tra il sogno e l’incubo, inglobando con sapienza una grande varietà di elementi pur rimanendo molto compatto (tanto da essere forse poco vario). Chi è già fan di gruppi come Rorcal, Neurosis o Pelican, probabilmente apprezzerà anche quanto fatto dai Magi. Tuttavia se ci si aspetta qualcosa di nuovo, così com’è lecito vista la miriade di contaminazioni dichiarate dalla band, si rimarrà delusi. Il gruppo di Brandon Helms manca di coraggio e non va al di là di formule già trite e ritrite proprio dai gruppi cui s’ispira. Un album che, per quanto ben suonato e realizzato, appare poco originale e incapace di distinguersi dalla massa. I Magi dimostrano comunque di avere del potenziale, l’augurio è che possano un giorno acquisire maggiore identità.