Marianne Faithfull
Broken English

1979, Island Records
Rock

Recensione di Antonio Conte - Pubblicata in data: 13/03/13

Ci sono artisti del music business che sono considerati veri e propri monumenti del rock, personaggi che grazie alle loro doti e al loro carisma hanno confezionato una o più pietre miliari della storia della musica, capaci di inventare o ridefinire un genere. Artisti che sono serviti da modello per tanti altri e di cui è davvero difficile metterne in discussione l'operato. Ce ne sono poi altri che, nonostante abbiano dato alle stampe dischi favolosi, restano in eterno “artisti di nicchia”, bravi quanto (o forse più?) dei primi, ma non altrettanto fortunati. Ed è proprio a questo secondo gruppo che è possibile ascrivere Marianne Faithfull.

La sua carriera parte negli anni '60: capelli biondissimi, viso d'angelo e occhi da cerbiatta, diventa amante di Mick Jagger e musa dei suoi Rolling Stones (con cui firmerà brani senza tempo come “As Tears Go By” e “Sister Morphine”). Pubblica qualche album di discreto successo, in cui più che presentare brani propri si cimenta nella re-interpretazione di vecchi classici. Conclusasi la storia con Jagger, precipita nel baratro della droga e si da a una vita d'eccessi, cadendo nell'oblio per poi rinascere solo sul finire degli anni '70 riacquistando notorietà e una certa fama nell'ambiente che le permetterà di collaborare più avanti con nomi blasonati come Angelo Badalamenti, Billy Corgan, Beck e nientemeno che PJ Harvey e Nick Cave (con cui firmerà, nel 2005, l'ottimo “Before The Poison”).

Il grande capolavoro è però datato 1979. “Broken English” è un disco praticamente perfetto, a partire dall'iconica copertina che mostra una Faithfull stanca e rassegnata intenta soltanto a fumare una sigaretta. Ad aprire le danze ci pensa la title-track, sorretta interamente da una ipnotica linea di basso condita con sperimentazioni elettroniche di matrice kraftwerkiana. Glaciale è l'interpretazione della cantante inglese, il cui timbro graffiante e la voce roca si adattano in maniera favolosa al tessuto sonoro del brano. Le successive “ Witche's Song” e “Brain Drain” si muovono in tutt'altra direzione. Se il primo è una semplice ballata acustica dal sapore vagamente country, il secondo pezzo vira verso sonorità più vicine al blues, presentandoci una Marianne decisamente più sensuale del solito. Segue “Guilt”, la vera perla del disco, che fonde sapientemente ritmi reggae e sonorità new-wave. L'elettronica ritorna unica protagonista in “The Ballad Of Lucy Jordan”, uno degli episodi più particolari e riusciti del lotto, in cui la cantante da voce a tutta la frustrazione di una donna distrutta dalla sua insoddisfacente vita familiare, mentre sullo sfondo prende vita un pezzo che ci ricorda da vicino le sperimentazioni musicali dei Suicide. “What's The Hurry” rappresenta in pieno, a questo punto della tracklist, la quiete prima della tempesta, un brano incalzante che propone semplici quando godibili sonorità rock.

Il finale del disco è da sogno. “Working Class Hero” è tutto quello che una cover dovrebbe essere. Il capolavoro firmato John Lennon vive una seconda giovinezza, torna attuale e si carica di rabbia e indignazione, e a farla da padrona sono ancora una volta l'interpretazione della Faithfull e le sonorità oscure di cui è pervaso tutto il pezzo. “Why D'ya Do It?” è un manifesto punk e femminista assieme. Marianne Faithfull chiude il suo capolavoro gridando vendetta verso il suo uomo e il suo imperdonabile tradimento, diventando volgare e spregiudicata, senza vergogna alcuna. Rock, reggae e funky si fondono perfettamente accompagnando in maniera egregia delle lyrics mai cafone come in questo caso (“Every time I see your dick I see her cunt in my bed”). Semmai vi ritroverete nella condizione di dover preparare le valigie al vostro partner per sbatterlo fuori di casa, questo brano rappresenta la perfetta colonna sonora per l'occasione.

In soli otto brani Marianne Faithfull riesce ad impacchettare un prodotto perfetto. Diverse sonorità che convivono egregiamente. Un disco che andrebbe certamente riscoperto, che ogni amante del rock dovrebbe ascoltare anche una sola volta nella vita, per innamorarsene subito. Merita un posto nella storia assieme ad opere più blasonate come quelle delle colleghe Patti Smith e Kate Bush, per citarne due. Insomma, per farla breve, questo disco è decisamente imperdibile.



01. Broken English
02. Witche's Song
03. Brain Drain
04. Guilt
05. The Ballad Of Lucy Jordan
06. What's The Hurry
07. Working Class Hero
08. Why D'ya Do It?

Intervista
Anette Olzon: Anette Olzon

Speciale
L'angolo oscuro #31

Speciale
Il "Black Album" 30 anni dopo

Speciale
Blood Sugar Sex Magik: il diario della perdizione

Speciale
1991: la rivoluzione del grunge

Speciale
VOLA - Live From The Pool