Marilyn Manson
Heaven Upside Down

2017, Loma Vista Recordings / Caroline
Rock

Recensione di Salvatore Dragone - Pubblicata in data: 07/10/17

Dici Marilyn Manson e dici dieci (o #Say10 come direbbe lui). No, non è un infelice scioglilingua, ma un numero profondamente simbolico per l'universo oscuro del Reverendo. Dieci album sono una cifra ragguardevole soprattutto per un artista così, chiamato, per la natura stessa del personaggio, a reinventarsi continuamente sia nell'immagine che nella musica. In fondo è sempre stata questa la costante tra i suoi lavori, migliori o peggiori che siano, e lo stesso vale per l'ultimo "Heaven Upside Down". Come già anticipato dallo stesso Manson alla vigilia della sua (travagliata) pubblicazione, si tratta di un parziale ritorno alle radici, non nel senso stretto di sonorità e songwriting, ma riferito a quell'attitudine che aveva caratterizzato capitoli come "Antichrist Superstar" o "Mechanical Animals". 
 
 
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Certo, l'età e gli eccessi non sono e non possono essere gli stessi di vent'anni fa. Sta di fatto però che il rocker dell'Ohio sta vivendo una vera e propria seconda giovinezza, almeno dal punto di vista artistico. A metterci lo zampino, anche in questo caso, è Tyler Bates, il compositore per il cinema, e ora parte integrante della band, già in sella dal precedente "The Pale Emperor" nella doppia veste di co-autore e co-produttore. Rispetto a quest'ultimo, la coppia Manson/Bates, mai così in piena sintonia, abbandona la matrice blues per riallacciarsi ad un rock più sporco e aggressivo che chiama in causa il glorioso passato. Discorso che calza a pennello su "We Know Where You Fucking Live" o "SAY10", come avrebbe dovuto chiamarsi in principio l'album. C'è spazio per qualche elemento di novità in sede di arrangiamento, su tutti l'intervento sapiente del sintetizzatore che in pezzi come "Tattooed in Reverse" o "Kill4Me" gioca un ruolo fondamentale nel dare ancora più espressività. Impossibile però non spendere qualche parola su una produzione ancora una volta impeccabile. La voce ruvida di Manson, il basso pulsante di Twiggy Ramirez, così come le chitarre e la batteria, si mescolano in un'alchimia perfetta dove ogni strumento può mostrare il suo carattere.
 
 
 
Si diceva delle canzoni, ecco nei dieci (si ancora lui, il 10) brani contenuti in "Heaven Upside Down", numero che rende il lavoro molto più fruibile e coeso, sono tanti i motivi per cui sorridere. In primis, e forse il dato più importante, è che non ci sono riempitivi. Ogni episodio ha infatti almeno uno spunto interessante che rimane all'ascolto, che sia una linea melodica piuttosto che un riff di chitarra. Anche quando i toni si fanno più rilassati, leggi "Blood Honey", il risultato non cambia. C'è molta naturalezza nella performance vocale di Manson, che ha dichiarato di aver registrato quasi tutto alla prima take per potergli dare un'impronta quasi live. I testi invece prendono a tutto tondo dalla politica, dalla religione e dal sesso senza voler affondare troppo nell'attualità, lasciando all'ascoltatore il compito di risolvere la matassa di pensieri che si avvolge nella sua mente. Specialmente quelli legati alla perdita del padre, seguita a distanza di pochi anni dalla madre, seppur non si manifestino in maniera esplicita. 
 
 
 
Senza doverlo necessariamente mettere a confronto con i dischi più ingombranti, "Heaven Upside Down" può invece considerarsi una prova positiva e una conferma di una ritrovata vena artistica. Invecchiare con classe e idee non è semplice, almeno in questo momento Marilyn Manson lo sta facendo egregiamente. 




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