Marilyn Manson
The Pale Emperor

2015, Cooking Vinyl
Alternative Rock

Il Reverendo è tornato. Con lui, anche una certa dose d'ispirazione.
Recensione di Andrea Mariano - Pubblicata in data: 19/01/15

Dice di aver introdotto, a suo modo, elementi blues che l’hanno condotto a cercare nuove soluzioni canore, oltre che ovviamente stilistiche. Se togliamo il basso metallico, la distorsione tagliente e la batteria acida tipica del suo trademark, effettivamente bisogna dar ragione al Reverendo: blues, anche se imbastardito, anche se “orrorificato”, anche se presente nella sua struttura più elementare, di tanto in tanto compare, tra un ululato ed un gorgoglio inquietante.

The Pale Emperor” segna il ritorno di Marilyn Manson dopo il gradevole ma tutt’altro che eccelso “Born Villain”. A conti fatti, è anche il colpo di coda che non ti aspetti. L’ex giornalista ha capito che non può più contare sull’aspetto shockante della sua musica, né delle sue innumerevoli metamorfosi sul palco, ma che è necessario concentrarsi maggiormente, ancor più di prima, sulla struttura delle sue creature sonore. Lo zoppicare inquietante eppure ammaliante della traccia d’apertura “Killing Strangers” è un benvenuto eccellente, ma poco dopo “Deep Six” tira un bel cazzotto in faccia all’ascoltatore grazie al ritmo incalzante ed un ritornello devastante. È ovviamente presente il Manson di sempre, con “The Mephistopheles Of Los Angeles” e “Slave Only Dreams To Be King” che non sorprendono minimamente, ma si lasciano ascoltare senza difficoltà; c’è tuttavia qualche sbavatura che poteva essere evitata, come“Birds Of Hell Awaiting” che non cattura come vorrebbe e dovrebbe, o la scelta di “Cupid Carries A Gun” come singolo (bel brano, ma non  il migliore per rappresentare l’album), ma nulla di così grave da compromettere la bontà del lavoro nel suo complesso. Doveroso è elogiare la potenza espressiva della chiusura del disco, affidata a “Odds Of Even”: seducente, decadente, malata, velenosa. Non pugnala, ma dissangua lentamente. Un tetro abbraccio in cui ci si lascia agonizzare con macabro piacere.


Manson ha svolto un lavoro decisamente migliore rispetto al suo recente passato su testi ed alcune intuizioni musicali, e la scelta di dare carta bianca a Tyler Bates per quanto concerne gli arrangiamenti è stata vincente sotto tutti i punti di vista: nuove idee, nuove soluzioni, sound rinnovato eppure sempre riconoscibilissimo. Non tutto è perfetto, ma il frutto di una collaborazione così particolare è indubbiamente convincente.

 

Il colpo di coda colpisce, ma non fa cadere. C’è forza nella frustata inaspettata, ma non sufficiente da far perdere completamente l’equilibrio. Vi è, tuttavia, quanto basta per rimanere sorpresi, un po’ spiazzati, destabilizzati ma non troppo. Quel che basta per accorgersi che il Reverendo è tornato. Non più urla di terrore, ma un piccolo, inaspettato sussulto, un lieve brivido che corre lungo la schiena.





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