Marina & The Diamonds
Froot

2015, Neon Gold
Pop

Recensione di Fabio Rigamonti - Pubblicata in data: 07/05/15

Se c'è una cosa per cui la giovane (ma non troppo) Marina Lambrini Diamandis - in arte Marina & The Diamonds - merita di essere ricordata negli annali della pop music, quella è sicuramente la sua estrema versatilità. Come le sue origini miste greco-gallesi lasciano intuire, Marina è una di quelle artiste che sa prendere il contenitore del pop e farcirlo, di disco in disco, con elementi estremamente variegati e diversificati: nel folgorante debutto (il suo inciso migliore) era un melodiosa e sfacciata vena folk, in "Electra Heart" (il suo episodio meno convincente) una volutamente superficiale anima electro dance, ed oggi un senso rock dei primi ‘90s che, siamo sinceri, nel pop da un po' non si sentiva più, e ci mancava.

 

Ha ascoltato tonnellate di indie mainstrem di due decadi fa Marina, ed il risultato sono canzoni assai fresche che ricordano gli episodi più vivaci dei The Corrs e quelli più leggeri dei The Cranberries, ma con l'estetica di Madonna a sostituire la nervatura irlandese delle ispirazioni. Che siano ballad manifesto dai ritornelli epici ("I'm A Ruin", "Weeds"), oppure concitate rhythm songs dall'elevato potere di penetrazione ("Forget", "Better Than That", "Weeds"), Marina riesce nell'impresa non indifferente di partorire un disco in cui gli ingredienti sono ben riconoscibili, eppure mischiati con mano sapiente a dare un piatto nuovo.


Il pop non viene dimenticato - la titletrack con le sue gioie ‘60s immerse in un mare di glitter ‘80s è lì a ricordarci la matrice di base su cui si muove l'arte della Diamandis - ma tutto risulta privo delle facilonerie "cheesy" che caratterizzavano l'opera precedente della cantautrice, che con "Froot" dimostra di essersi riappropriata in modo totale della propria arte; mirabile, in questo senso, l'opening oltremodo sincera e "nuda" di "Happy", brano dove protagonisti sono il piano, la voce, ed un testo/confessione totalmente intimista, dove la sezione ritmica interviene solo in punta di piedi alla fine, quasi a non voler rovinare un quadro sì venduto in serie nei megastore, ma dipinto con colori ricercati e variegati.

 

Purtroppo, Marina ancora una volta non riesce a limare neanche in questo terzo inciso in carriera il suo difetto principale, l'unica stortura che ancora la tiene lontana dalle grandi del pop di consumo, ovvero l'estrema altalenanza del livello del songwriting. Di nuovo, i diamanti di Marina sono dispersi in mezzo a tanta bigiotteria; in particolare, "Froot" risente di una parte centrale (da "Gold" a "Solitaire") che, seppur non rasentando mai il fastidio puro, è caratterizzata da brani chiaramente minori, quasi delle b-sides immerse in un mare di singoli splendenti.


Ed è un peccato, perché le capacità della Diamandis oramai sono più che acquisite, ed attendono solo di essere messe maggiormente a fuoco in un disco che risulti autenticamente accattivante dall'inizio alla fine.

 

D'altronde, però, va anche detto che quando ci danno una macedonia tutti frutti, difficilmente mangiamo volentieri ogni singolo pezzo della coppa, e ciononostante siamo intrigati dal mix. Questo disco è esattamente così: siamo consci che le mele e le pere sono lì solo per aumentare la resa, ma le fragole ed il gelato creano l'armonia con la dolcezza del melone. Ed alla fine, soddisfatti, arriveremo a bere il succo agrodolce del limone con gratitudine.





01. Happy
02. Froot
03. I'm A Ruin
04. Blue
05. Forget
06. Gold
07. Can't Pin Me Down
08. Solitaire
09. Better Than That
10. Weeds
11. Savages
12. Immortal

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