"Tracker" spesso in termini informatico-musicali sta ad indicare una classe di software che serve a sequenziare musica; «le note vengono inserite attraverso la tastiera, mentre i parametri, gli effetti e altro vengono inseriti in esadecimale» vi dirà Wikipedia. In termini più generali e comprensibili, si intende il procedimento di tracciamento per registrare le canzoni in studio. Il "Tracker" di Mark Knopfler segue un processo simile per "tracciare" e ordinare interiormente la decennale strada del chitarrista scozzese fatta di persone, posti e cose del passato, orientandosi però verso una accezione all'esatta antitesi di tutto ciò: è una fuoriuscita dagli ambienti di registrazione dei British Grove Studios, come se fosse stato inciso all'aperto, per una parte in un campo assolato come quello immortalato nella copertina, l'altra parte in un pub di Newcastle. Come se per l'occasione dell'uscita del suo ottavo disco da solista - che tenendo conto della discografia totale, tra Dire Straits, ost e collaborazioni, è ben il 27esimo album - fossimo invitati a bere un boccale della migliore birra britannica attraverso il passo jazz dell'introduttiva "Laugh and Jokes and Drinks and Smokes", dall'atmosfera in principio molto familiare al sound knopfleriano (io ci sento molto del primo "Golden Heart"). Una chiacchierata tra amici, si ride e si scherza, e tra un tiro di sigaretta e un'allegra bevuta si raccontano storie di vita passata: è attraverso questi racconti - la maggior parte mescolati a ricordi autobiografici - che viviamo le prossime canzoni, narrate da un nostalgico Knopfler che introduce con fare dylaniano a diversi personaggi che incrociamo per poco tempo per poi perderli di nuovo di vista, alcuni sconosciuti come la ragazza con la corporatura da showgirl ("Long, Cool Girl") o lo scommettitore radiato da ogni ippodromo (dello splendido tributo beatlesiano "SkyDiver"), altri più consueti (l'immancabile uomo di mare di "River Towns"), altri ancora più celebri legati alle sue ispirazioni da professore di lettere, dallo scrittore "Basil" (Bunting) alla sua nuova lady writer "Beryl" (Bainbridge), vincitrice di un solo premio letterario Booker post-mortem per i suoi romanzi psicologici, nonostante le 5 candidature ricevute in vita.
La produzione dello stesso Mark e del compagno/tastierista di lunga data Guy Fletcher è cristallina, l'ascolto generale di sicuro coinvolgente e le critiche sono poche. Due, per la precisione, veloci ma essenziali. Primo: come diavolo si fa a relegare i migliori pezzi tra i bonus inclusi nella versione deluxe? La loro aggiunta all'edizione base porta quasi ad una diversa e più interessante conformazione dell'album, completata dal rock vecchio stampo di "Hot Dog", oltre che dall'elegante scivolata di amarezza su "Terminal of Tribute To" verso coloro che credono ancora nei Dire Straits (ex-colleghi "mai conosciuti e perciò mai dimenticati"?), condannati a basarsi su "piani destinati a fallire per sempre". E due, forse sempre in ottica Straits: mi colpisce l'assenza iniziale della sua graffiante e riconoscibilissima firma chitarristica, affogata negli episodi successivi all'opener in tematiche blues/folk dagli (splendidi) soli della sua (magistrale) band di supporto; affiora in superficie solo verso la quinta traccia, "Mighty Man", rimanendo di seguito ad un insolito mero posto di arrangiamento per poi portarsi al tradizionale splendore di Stratocaster soltanto nel già citato singolo di punta, "Beryl", reo di offrire anticipatamente un'idea completamente fuorviante del disegno più completo. Forse si può dire che in questa occasione Mark non osa più di tanto; anzi, se ne sta tranquillo dove è più comodo, talvolta addirittura abbassando il volume e lasciando ampio respiro ai turnisti intorno ormai di casa, concentrandosi principalmente sul cantato. Quasi per una volta fossero più importanti i testi, che la musica. Quasi non fosse un album di Knopfler, ma della band capitanata da Knopfler.
Calmo, delicato, tranquillo, ecco come è in sostanza l'album. Forse troppo. Preferii a suo tempo la capacità del precedente "Privateering" (2012) di sterzare continuamente, in modo molto vario e frizzante (sebbene penalizzato fortemente dalla impossibile durata di due dischi). Ma non sarò certo io a dire che la buona musica non è lenta, intima. Certo, magari i live futuri del Tracker Tour un po' ne soffriranno, o forse saranno un'ottima occasione per ripescare le meraviglie più dinamiche dei primi album ormai spesso trascurate. Tracker, in conclusione, non è un capolavoro totale ma ha al suo interno diversi piccoli capolavori narrativi come "Lights Of Taormina", definibili in nessun altro modo, se non soltanto come l'ennesima dimostrazione che Mark invecchia come tutti, ma di certo non perde mai il suo talento compositivo.