Metallica
Metallica

1991, Elektra Records
Metal/Rock

Una gemma nera dai riflessi iridescenti: il cambio di paradigma che sconvolse l'universo metal
Recensione di Giovanni Ausoni - Pubblicata in data: 14/09/17

"Curved upon my stone
My body lie, but I still roam"

 

Il punto di non ritorno, l'epitaffio vergato in onciale sulla lapide del quartetto americano. I Metallica suonano ancora, girano il mondo, sfoderano nuovi e dignitosi lavori: ma sono nomadi che si esibiscono su tappeti lisi e consunti, consci che la rosa della contemplazione sbocciata una volta attorno al pulviscolo dell'illuminazione sia irrimediabilmente sfiorita. "Metallica" rappresenta l'affermazione di un oltre, di un linguaggio che sconcerta: l'emergenza del tremendo che picchia alla porta, che tramortisce e seduce, che ricodifica antichi alfabeti, che distanzia e separa. Critica e pubblico, assuefatti da una proposta thrash/speed che tocca l'apice di saturazione in "... And Justice For All" (1988) rimangono meravigliati: la dicotomia tradimento/capolavoro travolge le masse. Il quartetto avverte il rischio di ripetere se stesso, sa che il girone degli accidiosi è pronto ad accoglierlo, comprende che la morte artistica significa rinunciare alla ricerca dell'eternità: la rimozione dell'abitudine accelera il puro movimento dello spirito che travolge e condensa traguardi raggiunti e oliati consolidamenti. Trapassare pretesto per esistere. La band affronta il dolore e la gioia dell'ultima nascita, la metamorfosi in poliedrica costellazione: apogeo e canto del cigno sotto la bandiera di Gadsden.

 

Il Black Album concentra dunque gli elementi passati e futuri del quartetto: un disco che cristallizza il presente, esemplificando al massimo la gamma di sfumature che l'act appare in grado di manifestare. Un sound che miscela senza tentennamenti hard rock ed heavy metal in direzione mainstream: Hetfield riduce l'impatto della seconda chitarra proponendosi nel convincente ruolo di singer a tutto tondo, Hammett include l'utilizzo del wah-wah negli assoli, Ulrich diminuisce l'impiego del doppio pedale in favore di una sezione ritmica ragionata e meno istintiva, il basso di Newsted spicca udibile protagonista al pari degli altri strumenti. In cabina di regia Bob Rock, abile equilibratore dell'estremismo musicale. Dinamico, introspettivo, circolare: nonostante l'imputazione di commercializzazione e infedeltà, difficile negare l'efficacia di un atto cosmogonico che scopre nel riverbero del mutamento la pars incognita della propria identità espressiva.

 

All'anthemica opener "Enter Sandman", che immette l'ascoltatore in uno psicodramma ansiogeno e carico di suspense, segue la consanguinea "Sad But True", trasposizione sonora di un io tormentato e confuso, incapace di distinguere tra verità e menzogna: brano sapientemente congegnato su un riff stuzzicante e smussato da angoli troppo acuti. In "Holier Than Thou" si avvertono risonanze stilistiche di stampo thrash, sebbene l'atmosfera che gravita intorno al pezzo non risulti mai eccessivamente soffocante, né evocata con partiture tecnicamente intricate. La cadenzata "Unforgiven", traccia supportata da un affascinante video in bianco e nero e baciata da straordinario successo (negli anni si susseguiranno le sbiadite "Unforgiven II" e "Unforgiven III"), sfoggia un Hetfield che rinuncia al suo tipico fraseggio muscolare ed essenziale: suggestionato dal clima morriconiano dello spaghetti western, il frontman tratta il tema della crescita, degli errori, dei sensi di colpa, rivelando una sensibilità per certi versi inaspettata. Nella pseudo-orientale "Wherever I May Roam", contraddistinta dall'insolita introduzione in sitar, le screziature hard rock prendono il sopravvento. Nata da un giro armonico di Newsted e concepita inizialmente come l'instrumental del Black Album, nella versione definitiva viene resa volutamente sconnessa e poco coesa, con l'intento di fotografare i disordinati scorci della vita errabonda degli statunitensi. Mentre "Don't Tread On Me", ispirata al bagno di sangue della Guerra d'Indipendenza Americana, segna l'ottima perfomance dietro le pelli di Ulrich, incisiva e cangiante, "Through The Never" adotta gli incessanti cambi di velocità influenzati dal pedigree originario del combo per raccontare, attraverso il tropo del viaggio cosmico, le tappe della sviluppo interiore dell'uomo.

 

"Nothing Else Matters" rappresenta la prima vera ballad pubblicata dal gruppo: una struttura semplice che plasma l'afflato melodico sull'arpeggio di quattro corde di chitarra pulita suonate a vuoto. Le liriche composte da Hetfield rievocano la sensazione del distacco dagli affetti che l'autore affrontava in quel periodo, offrendo un commovente spaccato intimo e personale: gli arrangiamenti orchestrali percepibili in sottofondo completano un quadro magico e riflessivo. La metafora del licantropo di "Of Wolf And Man", la feroce critica del vocalist al credo del Cristianesimo Scientista dei genitori in "The God That Failed", l'omaggio sabbathiano "My Friend of Misery" precedono la finale ed esemplare "The Struggle Within": la rapidità complessiva dell'esecuzione, i ritmi sincopati del refrain e i virtuosismi di Hammett sottolineano la presenza di elementi eterogenei nelle pieghe del platter.

 

Se nel 1991 il drappo rosso del Cremlino si accascia definitivamente, il nero vessillo dei Metallica sventola altero, calpestando perplessità e false accuse. Il superamento del crinale proietta i nostri nella storia: il resto è silenzio.

 

"I'm your dreams
I'm your eyes
I'm your pain"

 

 





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