Michael Crimson
Medusa

2017, Gain Records
Art Rock

Art Rock d'altri tempi per l'album di debutto del chitarrista e cantante svedese Michael Crimson, che riprende le sonorità psichedeliche guitar-driven dei primi anni '70 con l'avvolgente concept album "Medusa"
Recensione di Valerio Cesarini - Pubblicata in data: 02/02/18

"Medusa" è l'album di debutto del cantante e chitarrista svedese Michael Crimson, dalle premesse consapevoli e le idee chiare: una raccolta di dieci brani tematica, immersa nel tepore del prog embrionale anni '70, ispirata alle sonorità più lineari delle rock band più psichedeliche, dagli Zep agli E.L.O. passando per gli immancabili Pink Floyd.

 

E' in realtà "Medusa", come si evince già dalle prime note delle opening track, un album moderno, più o meno chiaramente targato 2017, che riprende sonorità ormai vintage per un paradossale equilibrio fra ricerca e coincidenza. Arpeggi scolastici, eco ancora più vintage su una voce sincera, avvolgente e dalla timbrica tipicamente acidula come da scuola Sixties, chitarre vellutate e distorsioni compresse la fanno da padrone già da "Seashell Eyes", forse non l'inizio da bocca spalancata che un disco del genere potrebbe utilizzare. Una delle tracce più ovattate e dall'amosfera più incerta, nel senso di travagliata e peculiare, tanto da far apparire la sucessiva "The Maiden" come una naturale evoluzione, verso territori più polished, più arrangiati, con la preponderanza di cori decisamente apprezzabili e un occhio più strizzato al rock.

 

Ed è proprio lo scorrere naturale delle tracce, in un flusso continuo che invoglia ad arrivare fino in fondo, una delle forze principali di Medusa e del suo raccontare, come in un sogno, le peripezie di Perseo. I brani, benchè sufficientemente differenti gli uni dagli altri, sono immersi nella stessa atmosfera, in essa si muovono, lentamente la scolpiscono, di volta in volta, per arrivare infine ad evidenziarne le nuances più raffinate.

 

Un percorso sul filo fra visionaria apatia e tensione, con i cori femminili in "Viperine Hair", col singolo "Weeping Window", o in "Nevermore" con i suoi vocoder per tornare di prepotenza ad una strofa flemmatica, tirata su quasi a forza da intermezzi di chitarre urlanti e flanger dimensionali. Un arrangiamento di tastiere essenziale, principalmente composto da piano, strings e organi poco stereo e molto vintage, arricchito dalla presenza avvolgente e preponderante delle chitarre - di tutti i tipi, dall'acustica larghissima all'elettrica con suoni distorti decisamente non moderni, ma canterini, emozionanti come "A Season In Hell", naturale prosieguo strumentale di Nevermore. Chiudono il disco "In The Winter" e la più solenne "What Would You Say", brani, come preannunciato, più rilevanti nell'insieme dell'album, nel divenire dell'atmosfera musicale che Michael Crimson crea, che non da soli.


Bisogna apprezzare il coraggio di un artista stoico nello scolpire sonorità così volutamente retro, dove, sia in termini di composizione che di produzione, ogni suono è curato (o non-curato) alla perfezione, con convinzione. Batterie indietro, riverberi e il caldo abbraccio del nastro accompagnano una passeggiata piacevole, dove l'umore si esalta più dell'orecchio.
Possiamo stare attenti al fatto che i brani non presentano grossi elementi di originalità, che la linea vocale non esplode mai, che le chitarre talvolta di vintage hanno principalmente il fatto di non essere perfette, che il fatto che Crimson sia inflessibile e dedicato alle sonorità di una certa era si può sentire, risultando talvolta troppo artefatto. Oppure possiamo dimenticare i particolari acustici, tutti, e quelli metamusicali, tutti, e lasciarci avvolgere senza un perché, ritrovando un po' di speranza e sollievo senza dover per forza dire di aver ascoltato un grande disco. Come un thè profumato in una giornata torpida.





01. Seashell Eyes

02. The Maiden

03. Viperine Hair

04. The Dungeon

05. Weeping Window

06. The Grass Of Grief

07. Nevermore

08. A Season In Hell

09. In The Winter

10. What Would You Say 

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