Con un decimo opus dal titolo biblico (e poco fantasioso) quale ''Ten'', torna ancora alla ribalta il nome di Michael Sweet: e non si può certo dire che il talento del nostro abbia subito delle significative scalfitture, benché i dischi degli Stryper, suo gruppo principale, risultino di gran lunga superiori. Anche il nuovo LP presenta la nota griffe del chitarrista di Whittier: riff metallici ottantiani, ritornelli inarrestabili, assoli mozzafiato e un carnet di ospiti da passerella festivaliera (Gus G, Joel Hoekstra, Jeff Loomis, Rich Ward et cetera). Ne viene fuori un album dallo stile omogeneo, piuttosto crudo a livello di sound e che, per ritmo e contenuti, può tranquillamente rubricarsi nella serie contemporanea delle release hard‘n'heavy dal taglio old school.
Il musicista utilizza la multiforme eredità degli Eighties assecondando le proprie attitudini, senza tuttavia soffocare la coralità dell'insieme: fra sei corde melodiche in contrappunto ("Better Part Of Me"), tapping d'acciaio temperato ("Lay It Down") e mid-tempo dokkeniani ("Forget Forgive"), i pezzi scorrono via come un ripasso di storia patria interpretato con la giusta deferenza e passione. I tributi d'epoca non terminano comunque qui: accanto alla romantica ballad d'ordinanza, "Never Alone", "Son Of A Man" e "When Love Is Hated" sciorinano rocce incandescenti e cascami speed che richiamano in maniera consapevole ed evidente Helloween e Judas Priest. Il resto del lotto sosta nell'alveo dell'energia e dell'aggressività priva di remore, in cui a difettare non è tanto l'alchimia in studio, quanto un livello delle composizioni sì discreto, ma che ricorda troppo da vicino le ultime prove della band madre dell'artista statunitense.
Michael Sweet desiderava soltanto staccare la spina e divertirsi: "Ten", di conseguenza, lascia l'impressione di una balsamica vacanza in luoghi già visitati prima della ripresa del vero lavoro. Né più, né meno.