Chi meglio di una finlandese dalle origini etiopi avrebbe potuto impiantare su di un minimalismo tutto nordico un folk-blues tanto nero e cupo? Tre anni dopo il debutto Mirel Wagner propone "When the cellar children see the light of the day": una bella fotografia in bianco e nero dove i punti di luce sono ben pochi. Questa volta in un paio di brani si è fatta accompagnare da Craig Armstrong, il cui tocco è in alcuni punti impercettibile e non turba l'integrità dell'album.
Mirel Wagner canta parole tanto appassionate quanto misurate: scandisce una lugubre conta in "1 2 3 4" e soppesa meticolosamente le sillabe nel dramma familiare "In my father's house". Carica di pathos ma al contempo distaccata a volte lascia attoniti ("Ellipsis") e a volte sa cullare ("Dreamt of a wave"). Procede come se accompagnata da suggestivi arpeggi stesse rivelando un qualche macabro segreto, così l'incalzante "The Devil's tongue" e la natura morta di "Oak Tree", fino all'onirica ninna nanna "Goodnight", carica di immagini di un amore consapevole e maturo.
Un album tutto d'un pezzo, coerente nel suo svolgimento; brano dopo brano si dispiega un senso di profonda solitudine: la semplicità e la brutalità dei testi scarni con l'essenzialità degli accompagnamenti amplificano questa litania. Un'opera carica di pathos per chi non ha paura di inquietarsi un po', di scovare "what's underneath the floor"; forse un po' costruita e forzata ma non per questo meno d'effetto.