Monster Magnet
Last Patrol

2013, Napalm Records
Stoner

Recensione di Riccardo Coppola - Pubblicata in data: 30/01/14

Saranno anche sconosciuti ai più, ma guai ad annoverare i Monster Magnet nella lista -sempre rapida ad infittirsi- degli ultimi arrivati: quello della band statunitense è un percorso lungo 22 anni, aperto dallo splendido esordio "Spine Of God", proseguito col capolavoro assoluto "Dopes To Infinity" e sceso poi progressivamente verso un volo stazionario, coerente e regolare, ma apparentemente incapace di essere scosso da nuove idee. Una serie di dischi, comunque, dall'inarrivabile potenza, narranti, con un immaginario preferibilmente sci-fi, autobiagrafici spaccati di una vita sempre sopra le righe, infiltrando inselvaggiti trip stoner e crudi urlacci tra lunghi riff di chitarre vorticanti in fredde profondità siderali.

 

"Last Patrol" arriva rispettando la deadline triennale che la band pare autoimporsi, preannunciato da una significativa magagna in formazione: lo storico chitarrista Ed Mundell, in line-up dai tempi di "Superjudge", cede a Garrett Sweeny il testimone alle sei corde. Parallelamente -non c'è dato sapere se la suddetta uscita di scena ne sia stata una causa- il sound della band pare intraprendere, per la prima volta negli ultimi quattro o cinque album, una percettibile metamorfosi: perché sì, "Mindless Ones" con la sua eloquente apertura "Get Your Mind Blown", o la title track con la sua lunga (troppo?) e massiccia coda strumentale, restano serratissime, cattive, devastanti. Altrove, però, si rallenta come mai prima d'ora, accompagnati dalla voce di Dave Wyndorf che stagionandosi s'arrochisce e sa farsi anche calda, morbida (esagerando, potremmo azzardare un "dolce"), e si cimenta in inedite progressioni blues che potrebbero anche far pensare a Mark Lanegan: sotto crescendo elettrici perfettamente orchestrati, "Paradise" o "Behind The Clouds" sono toccanti lenti che raccontano con la stessa efficacia, e con la stessa metaforica suggestività, un innamoramento e un'overdose da sonniferi.

 

Paradossalmente poi, per quanto ci sia una navicella spaziale dipinta sulla copertina (finalmente un artwork splendido, che interrompe un'apparentemente interminabile sequela di brutture) più d'un brano dà l'impressione di intraprendere viaggi in direzioni ben diverse da lontane galassie: è così nel riarrangiamento (o meglio, nella demolizione controllata e susseguente ricostruzione) del classico folk di "Three Kingfishers", o nella progressione orientaleggiante e simil-Mastodon della superba "The Duke (Of Supernature)".

 

Pregno di nuove intuizioni, ancorato a un rumoroso trademark chitarristico ma con lo sguardo volto verso nuovi orizzonti, "Last Patrol" si presenta così come l'album più sorprendente e versatile dell'intera discografia dei Monster Magnet. E, cosa non meno importante, alla soglia dei sessant'anni Wyndorf riesce quasi a farsi dimentico della spiccia aria da rocker macho-man donnaiolo che permeava quasi tutti i precedenti lavori, facendo piantare bandiera alla sua band su vette -a cui in passato ci si era solamente avvicinati- di sublime, immaginifica poeticità. Hallelujah.





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