Moonspell
Extinct

2015, Napalm Records
Gothic

“Extinct”: l'insofferenza dei Moonspell verso un certo stereotipo “metal”

Recensione di Alessio Sagheddu - Pubblicata in data: 09/03/15

Stereotipare qualcosa è un po’ come negare la sua vera espressione. In ambito musicale abbandonarsi allo stereotipo è di casa. Seguire ciò che è stereotipato è sicuro: nessuno prende il rischio, nessuno si fa male. Rischiare, lavorare ad un album che ha delle caratteristiche diverse o sentieri non battuti, è ormai cosa di pochi. In fin dei conti tutti vogliono qualcosa di nuovo ma ricercano la novità rimarcando ciò che hanno già sentito ed in ambito metal tutto questo è amplificato dalle varie categorie musicali; ognuno è ben incastrato in un genere e se è possibile non ne deve uscire. Poco male se questo significa strutturare album tediosi e ripetitivi, i fan insorgeranno e come da copione spereranno nella buona riuscita di un nuovo capitolo che, attenzione, dovrà ripercorrere i primi passi discografici della band in questione nel tentativo di ritrovare sentieri migliori. Questa è la strada che ci si aspetta da “Extinct”, nuovo nato in casa Moonspell. Che ci si aspetta, per l’appunto. Vuoi per il suo predecessore, vuoi per l’insofferenza di una melodia che alcuni ritengono troppo poco “pesante”.

 

Fatevene una ragione, tardivi appassionati della band portoghese: né in questa recensione, né gli stessi Moonspell hanno intenzione di farcire questo nuovo ritorno discografico con copiose citazioni provenienti dall’era “Irreligious” o “Sin/Pecado” al solo scopo di rinvigorire l’ego del fan insoddisfatto rimasto incellofanato al 1998 o giù di li. Per carità, entrambi gli album rimangono tutt’ora bibbia indissolubile di un certo tipo di metal ma non qui, non con “Extinct” tra le mani. Sì perché a Fernando Ribeiro & co., l’etichetta metal sembra, ora più che mai, stare un po’ stretta ma qualcosa la si poteva capire già con il precedente doppio album (quanti sinistri anatemi ha dovuto schivare “Omega White”?). La formula di questo nuovo lavoro è la stessa intrapresa con il suo predecessore ma invece che dividerle, le due anime, vengono riunite. Una presa di coscienza buona e giusta. Una volta riunito, il lavoro fatto dal quintetto è molto semplice: fregarsene e seguire quella che è sempre stata la vera essenza della band. Fregarsene di chi, direte voi. Beh, essenzialmente di chi bacchetta da sempre quella che è più di una vena appassionata e romantica, strettamente melodica ma mai sdolcinata, sempre capitanata dal quel lato furioso che, se vogliamo, ha reso la band di Lisbona quella che è oggi. Le strutture ritmiche risultano variopinte e audaci nel loro spudorato charme oscuro (non troppo come accadde in “Night Eternal”) un po’ come le orchestrazioni e le partiture pianistiche legate indissolubilmente ad un guitar work fine, sopraffino e ispirato al punto giusto che non mostra mai segni di cedimento. A dominare lungo tutta la durata del disco è l’encomiabile timbro grave di Fernando Ribeiro che ben si destreggia tra atmosferiche linee vocali e incisive interpretazioni che non lasciano scampo; indiscutibile alcune volte è anche l’incursione vagamente orientaleggiante (“Medusalem”) che ben si sposa con il sound del quintetto. Raffinate interpretazioni e mood introspettivi inaugurano poi un macabro teatro Moonspell-iano (“La Baphomette”), interpretazioni che anche messe alla prova riescono a non far calare la credibilità di un ottimo album (un po’ come succede con “Breathe (Until We Are No More)” che riesce quasi ad oscurare “The Last Of Us”). I brani migliori del lotto invece sono quelli che racchiudono una certa simbiosi tra ciò che è commerciale (non troppo) e quella che è sempre stata la proposta del quintetto: si passa dal trasporto emotivo di una “Domina” a quello avvolgente e più sfrontato di “Malignia” per poi passare a “The Future Is Dark”, tutte accomunate da un refrain memorabile e qualche incursione acustica della chitarra che lascia poi spazio ad alcuni assolo ben incastonati.

 

“Extinct”: fluido, sincero, intimo e melodico.
Questo nuovo album non solo riporta in pista i Moonspell ma riesce anche a distanziarsi da quel “mondo metal” a cui forse la band non è mai appartenuta a tutti gli effetti. Ed ora che siamo sul finale è meglio preservare il resto delle forze, utili a sbaragliare l’offensiva di quello stesso stereotipo che mal sopporterà svariate scelte di questo lavoro.





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