Un'accensione diesel che pare incespicare in leggeri pizzichi alle sei corde e scivolate sul basso, un andamento apparentemente da carillon che diventa presto inarrestabile, in un continuo vorticare di chitarre e di voci sottili, di psichedelie fuori dal tempo, rumoreggiamenti in foggia di power chords, sprazzi di lucida sensibilità. Non si reinventano, i Motorpsycho -dalla sommità dell'ormai altissima pila di diciassette album in discografia-, ma scavano ancora più fondo nel loro strabiliante bagaglio musicale, in quelle fascinazioni da Seventies inglese che tanto bene hanno germogliato negli ultimi anni dalle parti della Scandinavia (si pensi anche a leve più nuove come gli ottimi Beardfish e Graveyard, che senz'altro tanto devono alla band di Bent Sæther).
"Behind The Sun" è l'ode ad una lisergia satura ma elegante, pervasiva ma mai opprimente, rumorosa ma mai gracchiante. Un viaggio di un'ora abbondante, suddiviso in epiche suite (le peregrinazioni tra le "Swiss Cheese Mountains" di "Hell Pt 4-6", deliri incarnati in superbe, sognanti orchestrazioni e fiati) e in lunghe - ma mai al punto da divenir moleste - divagazioni strumentali (il riff circolare e il persistente overdrive di "Kvaestor"), in cavalcate meno cinematografiche e più a misura di un travolgente rock show leggermente amarcord (la spumeggiante opener "Cloudwalker", il garage-hard-rock distorto di "On A Plate"), o anche in onirici soggiorni semiacustici alla corte del Re Cremisi (la dolcissima progressione della splendida ballata "Ghost").
Difficile trovare qualche debolezza o mancanza, in brani costruiti con cura certosina e ineccepibilmente eseguiti: forse solo una certa carenza d'ìmmediatezza - cosa, d'altronde, forse mai posseduta dalla band - che lascia sulle prime l'impressione che l'album sia ricoperto da una patina d'impenetrabile cerebralismo. E in fondo, anche per gli stessi aficionados, potrebbe cominciare a pesare la natura non proprio pionieristica della proposta, figlia di un trademark ormai tanto riconoscibile da non riuscire più a stupire. Lo sussurrano loro stessi nella traccia due, peraltro: "It's an endless repetition"; ma se la qualità rimane sempre questa, ci sentiamo davvero di dire che può andar bene così.