I Mudhoney, si sa, sono sempre stati considerati poco a livello di pubblico, nonostante tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90 abbiano scosso con la forza di un terremoto Seattle e l’underground oltreoceano diventando il primo gruppo grunge della storia. La band di Mark Arm oggi pubblica il suo primo live album non limitato e non bootleg composto da undici tracce registrate durante il tour europeo del 2016. Tale album anticipa la release di un nuovo full-length che, anch’esso, vedrà la luce nel 2018 in occasione del trentesimo anniversario di attività della band.
“LiE (Live in Europe)” ha impresso la storia dei Mudhoney in quella che sembra una raccolta di alcuni dei più celebri brani della band statunitense. L’intro strumentale di “Fuzz Gun ‘91” è la quintessenza di un genere musicale sporco quanto basta, nudo, crudo, dall’assolo che fa breccia nell’hard rock degli anni Settanta. L’album “Every Good Boy Deserves Fudge” da cui esso è tratto è, infatti, un pugno nello stomaco, compatto nell'esaltazione della vena garage, punk e psichedelica della band. I Mudhoney si sono fatti conoscere grazie alle varie influenze di cui hanno fatto tesoro, su tutte, lo rimarchiamo, il garage e il punk/punk rock dei The Stooges. Mentre “Get Into Yours” è un esempio di quel sound anni ’60 acido e graffiante che sempre richiama, in modo concentrico e sentimentalmente ossessionante, le composizioni di Iggy Pop, i riff distorti di Steve Turner in “Poisoned Water” ci conducono per le selvagge lande nella mente della band. Rullo e piatti incitano ad “I’m Now”, brano in cui gli scream appassionati di Arm diventano una montagna russa emozionale per l’ascoltatore. Scendiamo dalla giostra per ascoltare i lisergici giri di chitarra di “What to Do With The Neutral”, un concentrato di irriverenza garage punk, heavy psych e hard rock.
Il sound dei Mudhoney era nel 2016, ed è rimasto ancora oggi, sovversivo e corrosivo. Il riff noise in apertura a “Judgement, Rage, Retribution and Thyme” è ridondante quanto denso di energia; “Suck You Dry” sembra una cover di “Breed” dei Nirvana con l’aggiunta di cavalcate hard e chitarre pesantemente distorte che, proprio per questo, fanno funzionare il brano. “Broken Hands” chiude l’album con i suoi 7:21 minuti a tratti blues, a tratti classic rock con cui i Mudhoney danno prova di essere dei mostri del grunge, liberi di professare quello in cui credono e di non aver mai soffocato le proprie inclinazioni alla musica più selvaggia e abrasiva. Voi li sentite i 30 anni di carriera dei Mudhoney sulle spalle? Loro sicuramente no, perché tagliano e ruggiscono ancora.