Broken Hope
Mutilated And Assimilated

2017, Century Media
Death Metal

Lavoro rispettabile, ma senza guizzi: I Broken Hope faticano a scrollarsi di dosso l'etichetta di eterni incompiuti.
Recensione di Giovanni Ausoni - Pubblicata in data: 17/06/17

Il debutto dei Broken Hope "Swamped In Gore" (1991) si ricorda soprattutto per essere stato il primo album death metal registrato in digitale; per il resto, in un periodo particolarmente florido in quantità e qualità, il disco della band di Chicago emergeva come onesto prodotto di livello inferiore rispetto ai giganti della scena statunitense. 


Sinonimo di progetto ibrido, figlio di un mélange rozzo e criticabile, con un occhio alle trame intricate dei Suffocation come a quelle più dirette dei Cannibal Corpse, la band dell'Illinois, in virtù  dell'esperienza e dell'adozione di un sound meno legato al tecnicismo esasperato, ha ottenuto durante gli anni un globale miglioramento, pur tra pause bibliche e stravolgimenti nella line-up. Capaci di ritagliarsi uno spazio di dignitosa sopravvivenza, la fama non ha mai davvero arriso loro, confinandoli in un limbo che ne ostacola ancor oggi l'affermazione completa.


Rimasto il solo Jeremy Wagner della formazione originale, i nordamericani tornano nel 2017 con "Mutilated And Assimilated" a devastare imperterriti i padiglioni auricolari degli incauti ascoltatori; il piglio rimane quello di sempre, apprezzabile negli intenti e restio a qualsivoglia compromesso, ma costellato da limiti evidenti. Al songwriting spesso statico nella riproposizione di formule classiche, negativo marchio di fabbrica del gruppo sin dagli albori, si aggiunge l'incerta prestazione vocale di Damian Leski, singer dei Gorgasm dal grugnito grasso e corposo, che fa rimpiangere la vomitevole ugola del compianto Joe Ptacek, perfettamente adatta alla proposta putrescente del combo: aspetti che lasciano i Broken Hope ancora una volta nel girone infernale degli inespressi.


Platter che fonde un immaginario sospeso tra John Carpenter e l'abituale Lovecraft, con squarci sulla violenza della vita reale, esso possiede i punti di maggior forza in inediti rallentamenti acustici di estremo interesse, oasi di riposo in distese di quadretti splatter: la creatura in raccapricciante trasformazione presente sulla cover, opera del visionario artista Wes Benscoter, acuisce la morbosità delle liriche e rende manifeste le suggestioni provenienti dal cult movie "The Thing", sublimate dall'agghiacciante strumentale "Beneath Antarctic Ice". Da questa prospettiva un deathster non eccessivamente malevolo e appassionato cultore di cinema horror può quantomeno gustare un divertissement gore senza troppo badare a questioni di forma.

 

In un album dunque che procede lineare senza grossi highlights, alcune tracce meritano tuttavia una menzione d'onore: il tirato groove di "Meek Inherit Shit", il drumming selvaggio di un ispirato Mike Miczek in "The Bunker", l'incedere marziale della title-track, i soffici e inquietanti arpeggi di chitarra che racchiudono la sezione centrale di stampo brutal in "Malicious Meatholes", gli schiaccianti breakdown di "Carrion Eaters" compongono un puzzle di indubbia efficacia. Gli altri brani certo spiccano per professionalità, ma peccano di ispirazione e colano inerti attraverso solchi ampiamente erosi e sfruttati da ensembles ben più devastanti e autentici: su tutti Dying Fetus, Immolation e Nile, raccolti in un monumentale bignami studiato a memoria e scarsamente rielaborato. Scelta discutibile poi l'ultimo pezzo, un medley di "Swamped In Gore" e "Gorehog", direttamente dal lavoro d'esordio, bigino fastidioso e inevitabile sintomo di corto respiro compositivo.


Registrato impeccabilmente ai Rustic Pube Studios con l'aiuto di Scott Creekmore (Putrid Pile, Earthburner), "Mutilated And Assimilated", a distanza di quattro anni dal discreto "Omen Desease", non devia dal percorso intrapreso nel precedente opus dopo il lungo esilio patito da "Grotesque Blessing" (1999): orientamento old school, suono robusto, riffing massiccio e d'impatto, running time di breve durata. Purtroppo l'insieme risente della poco onorevole nomea del già sentito e, sebbene nel complesso dignitosi, i Broken Hope temporeggiano nuovamente sulla soglia dell'anonimato, sostando quasi ad libitum nel grembo capiente dell'underground a stelle e strisce.





01. The Meek Shall Inherit Shit
02. The Bunker
03. Mutilated and Assimilated
04. Outback Incest Clan
05. Malicious Meatholes
06. Blast Frozen
07. The Necropants
08. The Carrion Eaters
09. Russian Sleep Experiment
10. Hell's Handpuppets
11. Beneath Antarctic Ice
12. Swamped-In Gorehog

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