Affidare un disco alle cure di Dan Swanö e dei suoi leggendari Unisound Studios e incaricarne dell'artwork nientemeno che Kristian "Necrolord" Wåhlin, significa già partire in pole position. Reclutare, però, due dei co-protagonisti dell'esplosione del metallo nero svedese nella seconda metà dei nineties, malgrado assicuri ai Naglfar un prodotto dalla confezione inappuntabile, non basta di certo loro per sfornare un capolavoro. Lontani qualitativamente da un album ferale e seduttivo come "Vittra" (1995), splendido esordio sulla lunga distanza bissato dall'ottimo, benché inferiore "Diabolical" (1998), gli scandinavi hanno pian piano imboccato la strada dell'abitudinario.
L'abbandono del carismatico frontman Jens Rydén, malgrado già con lui a bordo apparisse evidente un costante appiattimento della proposta, diede il colpo definitivo alle ambizioni di grandeur della band di Umeå, da allora ferma in un limbo confortevole, ma alquanto opaco. Nel nuovo opus "Cerecloth", il terzo in cui Kristoffer W. Olivius veste i panni del singer, la fisionomia compositiva del combo si discosta leggermente dagli ultimi lavori, facendo emergere, rispetto alla violenza tetragona di "Téras" (2012), una vena melodica più calda e pronunciata.
Costruito sui nitidi e rapidi scambi della solida coppia d'asce Andreas Nilsson-Marcus E. Norman e da decelerazioni di stampo blackened death, il lotto viaggia tra la tenebre violette dei primi Dark Funeral e i mid-tempo atmosferici dei Dark Fortress, ponendosi in una gradevole via mediana, priva, però, di guizzi fragorosi. Coinvolgente il ritmo spigliato della title track e dell'aggressiva "A Sanguine Tide Unleashed", interessanti le sfumature viking di "Horns" e quelle dark di "Like Poison For The Soul", d'annata, anche se un po' convenzionale, lo pseudo doom di "Cry Of The Seraphim"; il resto bussa alla porta della solidità senza troppi rischi, con il gruppo teso nel realizzare pezzi groovy, smussati e, possibilmente, di facile memorizzazione.
Il vascello infernale dei Naglfar gonfia le vele verso mete forse maggiormente consone alle proprie caratteristiche odierne: inutile, d'altronde, imitare il passato quando l'attualità è tutt'altra cosa. E "Cerecloth" ne rappresenta la testimonianza esemplare, nel bene e nel male.