Nessuno ringrazierà mai abbastanza Richard Ashcroft per il ruolo interpretato dai The Verve nel panorama della musica mondiale: le note di "Urban Hymns" resteranno conficcate, ad aeternum, nel cuore e nella mente di milioni di ascoltatori. Purtroppo la carriera solista del cantautore di Wigan ha vivacchiato, in massima parte, sulla forza d'inerzia proveniente dall'esperienza indimenticabile trascorsa con la vecchia band: album poco significativi, qualche discreto pezzo qua e là e la chiara percezione di un percorso individuale accostabile a quello, ugualmente opaco, del fraterno amico e compagno d'avventure Liam Gallagher. Premesso che scindere un artista dal proprio glorioso passato appare un'impresa pressoché impossibile e che qualsiasi valutazione sul presente corre il pericolo di arenarsi in continui e scomodi paragoni, bisogna, nel caso di "Natural Rebel", adoperare la frase evangelica "reddite quae sunt Caesaris Caesari". Beninteso, non parliamo di un'opera straordinaria: gli applausi non scrosciano e i difetti, oltretutto, non mancano. Il ritmo troppo blando, l'impronta rock anni '70 distillata in sole due tracce, una produzione estremamente scarna e incapace di conferire corpo al predominante suono delle chitarre acustiche, non depongono a favore di un giudizio immune da pecche.
Tuttavia, l'uomo in occhiali da sole e dal fisico sottile conserva un fascino indubbio: se una voce chiara e tremante, da conteuse d'histoire consumata e lusingatrice, lega i pezzi l'uno all'altro in un racconto pacato e flemmatico, l'innegabile talento per il songwriting dell'autore inglese riesce, alla fine, a far comunque quadrare i conti, tra liriche diafane, soffici orchestrazioni e tenui cori gospel. "All My Dreams" costituisce il singolo pop perfetto, tanto prevedibile quanto immediato e carico di una melodia che cattura facilmente l'attenzione; il friabile country di "Byrds Fly", una "Surprised By The Joy" in cui la semplicità si trasforma in finezza, le classiche (e abusate?) movenze brit di "That's Well I Feel It", rappresentano il simmetrico e luminescente pendant dell'opener.
Certo, risulterebbe azzardato immaginare il nostro nelle vesti di crooner, eppure il suo timbro da singer navigato e sornione possiede qualcosa di magico, una sussurrata loquacità da romantico anfitrione: mentre "That's How Strong" ottenebra i sensi poiché immensa è l'impressione di malinconia che la canzone trasmette, passeggiare attraverso le "Streets Of Amsterdam" rievoca nostalgie da american roots. Una breccia emotiva nella quale si inseriscono le toccanti, e lievemente dolciastre, "We All Bleed" e "A Man In Motion", ferite che si librano in galassie diverse e comunicanti, che cercano consolazione, che custodiscono il potere di mettere a tacere rumorose conversazioni. Ma l'incanto si spezza, la distorsione e la drum machine colpiscono senza preavviso, prima su "Born To Be Strangers", poi sull'adrenalinica conclusione affidata a "Money Money": posto a commiato del disco, il brano ricorda che le tempeste elettriche possono scatenarsi in luoghi inattesi, forse persino in Paradiso. Ancora una volta.
Spesso i miracoli accadono, in maniera misteriosa e oscura. Il nuovo lavoro di Ashcroft, benché lodevole e a tratti poetico, non rientra nella categoria succitata e probabilmente in futuro tale constatazione resterà identica a sé stessa, però almeno una cosa sembra inconfutabile: d'ora in avanti non chiamatelo più Mad Richard, bensì "Natural Rebel". Con un pizzico di glamour, of course.