Ne Obliviscaris
Citadel

2014, Season of Mist
Prog Metal

La saggia evoluzione che segue una piccola rivoluzione.
Recensione di Marco Mazza - Pubblicata in data: 01/12/14

Il metal è un genere contraddittorio. Spesso è visto dai non addetti ai lavori come qualcosa che vive di vita propria all’interno di un suo definito mondo, immobile e incomprensibile; qualcosa di diverso e scollegato da tutto il resto della musica. Eppure il metal è uno dei comparti in cui più si è tentato di innovare nelle ultime due decadi. Tanto ha dato e tanto ha preso dal resto della musica. In particolare le sue varianti estreme hanno mostrato un’incredibile capacità d’integrazione con altri stili, spesso anche molto distanti, basti pensare alle commistioni black-shoegaze di Neige, o al prog-death degli Opeth. A questa schiera di sperimentatori appartengono anche i Ne Obliviscaris, band australiana che si è fatta conoscere due anni fa con quel capolavoro che fu “Portal of I”. 
 
I Ne Obliviscaris sono un sestetto che, partendo da una robusta base black/death, impastano, in un unicum dall’incredibile impatto scenico, una miriade d’influenze diverse. La formazione ha saputo non solo inglobare le collaudate forme prog-metal evolvendole su nuovi livelli, ma ha arricchito il mosaico con elementi che spaziano dal thrash alla musica classica, dal jazz al flamenco. I Ne Obliviscaris si sono posti, già con il loro debutto, tra i migliori esempi dell’avanguardia musicale del metal estremo, una posizione che non può che essere confermata dopo l’ascolto del nuovo album: “Citadel”. 
 
Rispetto al suo predecessore, “Citadel”, segue approccio più melodico, dà maggiore spazio al clean e a passaggi di puro progressive, mentre il violino continua ad avere un ruolo primario. Un disco meno ostico dunque. Anche la durata totale è ora minore e le tracce importanti, che si riducono a tre, sono intervallate da intermezzi per sgonfiare la tensione. Una cosa è comunque da chiarire subito: “Citadel” rimane un disco assolutamente metal. I Ne Obliviscaris non perdono quelle radici death e black da cui sono partiti; il ricorso, comunque massiccio, a elementi esterni, dona profondità e tortuosità alle composizioni. Ascoltare i sedici minuti di “Painters of the Tempest (Part II): Triptych Lux” per credere; parte a mille tra growl e blast beat per poi, tra passaggi brutali e inserti armonici, lasciarsi abbandonare a un approccio decisamente più prog. Il lavoro di Tim Charles, nel doppio ruolo di voce pulita e violinista, assume sempre più importanza in un brano che potrebbe da solo reggere il peso dell’intera uscita. Non è tutto qui però, perché forse quello che colpisce di più della musica dei Ne Obliviscaris è il suo grande impatto emotivo: una profondità raggiunta da poche altre band in campo estremo. Ne è la prova “Pyrrhic”, in cui distorsioni da togliere il fiato si trasformano in un finale capace di commuovere: il sofferto scream di Xenoyr si interseca magnificamente con il violino in mezzo ad una vera e propria tempesta strumentale. Anche gli episodi minori dell’uscita hanno da dire qualcosa, vedi “Painters of the Tempest (Part III): Reveries from the Stained Glass Womb”, che, con le sue sonorità spagnoleggianti, offre, nei suoi pochi minuti di durata, un modo piacevole con cui di abbassare ritmi. 
 
“Citadel” è una solidissima release di un gruppo che conferma straordinarie capacità. Nei suoi cinquanta minuti dipinge un quadro variopinto eppure omogeneo; l’enorme arsenale d’influenze e contaminazioni messo in campo dai Ne Obliviscaris, è, infatti, funzionale a raggiungere la profondità richiesta per il coinvolgimento totale dell’ascoltatore. Riprende nella sostanza tutti gli elementi già mostrati in “Portal of I” apportando solo qualche ritocco. Questa volta i Ne Obliviscaris allargano le aperture melodiche seguendo un approccio meno estremo e più accessibile; sembrano voler portare la propria soluzione a un qualcosa di più maturo e meno istintivo. A dirla tutta “Citadel” non riesce a superare in valore “Portal of I”, e questo principalmente a causa di due motivi: non raggiungere il pathos e l’epicità del suo predecessore e, soprattutto, “Portal of I” è uscito prima di “Citadel”. Tutto qui, semplicemente “Citadel” non può, causa data di nascita, avere lo stesso sorprendente impatto che ha avuto il debut album. I Ne Obliviscaris la loro piccola rivoluzione l’hanno già fatta, e questa volta hanno scelto (saggiamente) di passare all’evoluzione. Ne Obliviscaris significa “non dimenticare” in latino, e si può essere certi, le note di “Citadel”, non usciranno dalla testa tanto facilmente.




01. Painters Of The Tempest (Part I): Wyrmholes
02. Painters Of The Tempest (Part II): Triptych Lux
03. Painters Of The Tempest (Part III): Reveries From The Stained Glass Womb
04. Pyrrhic
05. Devour Me, Colossus (Part I): Blackholes
06. Devour Me, Colossus (Part II): Contortions

Intervista
Anette Olzon: Anette Olzon

Speciale
L'angolo oscuro #31

Speciale
Il "Black Album" 30 anni dopo

Speciale
Blood Sugar Sex Magik: il diario della perdizione

Speciale
1991: la rivoluzione del grunge

Speciale
VOLA - Live From The Pool