Negrita
Desert Yacht Club

2018, Universal
Pop Rock

Recensione di Costanza Colombo - Pubblicata in data: 10/03/18

No, i Negrita non si sono convertiti allo stoner, al massimo hanno stretto la mano a quella vox clamantis nel deserto, quella di Marco [1,6] per intenderci. Accantonando la quotidiana porzione di locuste, il Battista deve aver fatto loro un discorsetto su rinascita e seconde occasioni grazie al quale le crisi di varie natura affliggenti la band sembrano essere finite a tarallucci e tacos.

Non fraintendete: questi non sono comunque i Negrita che andate cercando. Se ancora languite nell'attesa di una nuova "Aria" o vi ostinate ad esigere una "In Ogni Atomo 2.0" tenetevi stretta la cassetta di "Reset" e assicuratevi che il disco di "XXX" ancora risulti leggibile dall'autoradio.

 

"La musica è cambiata e siamo pronti all'assalto". Questi sono altri Negrita, cambiati appunto con la musica, fatevene una ragione. Che vi piaccia o meno ormai la band di Pau & Co. Ha deciso una volta per tutte di star bene dov'è, un centinaio di miglia sotto l'equatore musicale rispetto al quale erano (ed eravamo) cresciuti, quello dove, per intenderci, ci avevano consolato per aver perso le nostre bambole. Se col precedente "9" era stato abbozzato un tentativo di riallacciarsi, a tratti, a una parvenza di tradizione e riff, basti pensare ai "disastri e utopie" datate "1989", la scampagnata per le calde sabbie californiane ha generato un coeso e coerente disco... con più synth che chitarre.

 

negrita_coverfb 

Assunta la movimentata dose di autoaffermazione in apertura, la prima metà della scaletta scivola via liscia senza particolari colpi di scena, o di testa, con le rime tanto semplici quanto azzeccate di "No Problem", la parentesi esistenziale di "Scritto Sulla Pelle" e l'eco di rimpianti e nostalgia di "Non Torneranno più", fino alla deriva reggae realizzata dalla doppietta "Voglio Stare Bene" / "La Rivoluzione è Avere 20 Anni".

"Be the change you wanna be"

Riposto il busto di Gandhi sulla mensola, giusto una spanna più a destra della bandiera di Marley, si viene dolcemente scaraventati nel delirio urbano consumato in "Milano Stanotte" con un altro discreto scioglilingua lungo 4:14 di sapore tutt'altro che lombardo e poi... via in Messico.

 

Il pezzo da novanta, almeno per chi scrive (e non solo perché ha particolarmente apprezzato le prime due stagioni di "Narcos") è questa "Adios Paranoia" a cui è oggettivamente difficile negare il titolo di pezzo meglio riuscito di "Desert Yacht Club", liricamente e non. Interessante anche la successiva "Talkin' To You" che rallenta lungo la stessa china fino all'ingresso a gamba tesa di Ensi che a suon di "cazzo mene" rafforza il messaggio che i Negrita non si riconoscono, nemmeno stavolta, in quello conviene.


"Sopra questa barca che non va e non va.
(...) Forse siamo vivi, ancora."





Intervista
Anette Olzon: Anette Olzon

Speciale
L'angolo oscuro #31

Speciale
Il "Black Album" 30 anni dopo

Speciale
Blood Sugar Sex Magik: il diario della perdizione

Speciale
1991: la rivoluzione del grunge

Speciale
VOLA - Live From The Pool