Nelson
Peace Out

2015, Frontiers Records
AOR

Recensione di Giulio Beneventi - Pubblicata in data: 19/05/15

"Abbiamo voluto scrivere e registrare il più emozionante, autentico, edificante e rockeggiante disco dei Nelson. La missione? Fare un classico!”. Va bene, l'obiettivo non è dei più modesti, però teniamo conto che a parlare sono due degli ultimi alfieri del più puro melodic rock di fine anni '80, Matthew e Gunnar Nelson, coloro che diedero vita ad un intoccabile capolavoro -da esordienti- che risponde al nome di "After The Rain" e che oggi portano avanti il nobile retaggio dell'unica famiglia al mondo ad aver sfornato hit da numero uno in classifica per ben tre generazioni (sono figli di Rick e quindi nipoti di Ozzie Nelson). Diamoli retta, no? Del resto il precedente “Lighting Strike Twice” aveva dimostrato che la loro vena compositiva non si era esaurita, anzi. Ora a Peace Out, nuovo album pubblicato per Frontiers Records il 15 maggio (oggi negli Stati Uniti), tocca soltanto rielevare i biondi gemellini dalle insipide svisate country in cui si erano persi nello scorso decennio e riportarli al loro ex-habitat naturale AOR, quello dei primi album, da cui sono stati strappati con brutale forza grunge. Cosa vuoi che sia?

 

Ok, forse abbiamo sottovalutato tutti l’impresa. Io che scrivo, magari voi che leggete, sicuramente i fratelli di Santa Monica che, guarda caso, iniziano a giocare sporco sin da subito e a più riprese, plagiando sé stessi (“Invincible”) o i Toto di “Afraid Of Love” (“Back In The Days”); espedienti a loro non consoni che tramutano il mio iniziale entusiasmo -pompato a mille dalla ipnotizzante copertina- in una sospettosa analisi di stacchi e melodie, che ai vari sbandamenti della linea compositiva delle dodici tracce precipita nel più oscuro scetticismo riguardo la genuinità dell’album: devo ammettere che l’acerbo power pop dolosamente radiofonico di certi episodi (il primo singolo “Rockstar”, “I Wanna Stay Home”) mi hanno fatto traballare nella mia ferrea presa di posizione sulla prima tra le due correnti di pensiero nei primi Novanta riguardo il loro conto -se fossero dei meritevoli autori del movimento hair metal prematuramente decaduti o dei semplici bellocci raccomandati buoni solo a girare spot Mentadent, che rappresentavano a quei tempi proprio il peggio del loro genere, tanto da garantirne velocemente la disfatta definitiva- e soltanto composizioni degne del loro nome (“Let It Ride”, “On The Bright Side” su tutti) o la scossa di “You And Me” mi hanno rinfrancato.

 

Ho aspettato qualche giorno prima di pubblicare, evitando con decisione la recensione a caldo e collezionando diversi ascolti, così da poter metabolizzare e soppesare i punti di forza. Quindi, eccomi: posso ora dire lucidamente e da ascoltatore assolutamente imparziale che di certo nel futuro “Peace Out” non verrà ritenuto uno dei migliori episodi dell'AOR -men che mai un classico come volevano le intenzioni- ma che, nel totale, può essere definito un buon album di melodic rock vecchio stile, ampiamente sopra la media, nonostante qualche filler e scarsa eterogeneità. Vi lascio però anche la mia considerazione da appassionato, più imbevuta di sano criticismo: io sono cresciuto con l’hair metal e coi Nelson, e so di cosa sono capaci. Magari chi ascolta senza pregiudizi questo album può rimanerne anche molto soddisfatto, ma io dinnanzi a un lavoro così “half-baked” -in cui sono tanti i pregi ma ahimè sono altrettanto numerosi anche i difetti- non posso che constatarne la scarsa sufficienza e godibilità. Il voto finale è la media tra i due punti di osservazioni.





1.Hello Everybody
2.Back In The Day
3.Invincible
4.Let It Ride
5.I Wanna Stay Home
6.On The Bright Side
7.Rockstar
8.Autograph
9.What's Not To Love
10.You And Me
11.Bad For You
12.Leave The Light On For Me

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