Nibiru
Netrayoni [Ristampa]

2018, Argonauta Records
Drone/Sludge/Psych

Recensione di Giovanni Ausoni - Pubblicata in data: 03/06/18

Nel film "Caltiki - Il Mostro Immortale" (1959) il regista Riccardo Freda racconta le vicende di una spedizione guidata dal biologo John Fielding che si reca nella giungla messicana per cercare di comprendere le cause della scomparsa dei Maya. Da un lago sotterraneo nei pressi un tempio dedicato alla dea della morte Caltiki viene a galla un terribile essere gelatinoso che aggredisce l'équipe: gli scienziati riescono a scappare e a portare a casa un pezzo della orripilante creatura, rimasto attaccato ad un braccio di un malcapitato componente della squadra esploratrice. Le conseguenze saranno imprevedibili e devastanti.
 
 
Non mostreremmo uno stupore attonito qualora a presenziare gli arcani cerimoniali della lovecraftiana mucillagine divoratrice provvedessero i Nibiru, gruppo torinese attivo sin dal 2012 e inquietante quanto enigmatico araldo di misteriose concatenazioni sincretiche: la ristampa da parte di Argonauta Records del doppio album "Netrayoni", seconda fatica dei nostri dopo l'esordio "Caosgon" (2013), consegna al pubblico interessato un'opera non semplice da assimilare e di difficile catalogazione. Se con l'ultima prova "Qaal Babalon" (2017) la band snocciolava un copioso patrimonio di incubi ancestrali inserendoli in un tessuto compositivo dalla struttura maggiormente coesa e razionale, benché di contorta estrinsecazione, l'atmosfera ermetica che regna sovrana nella reissue del 2014 provoca reazioni di sbigottimento. Uno zibaldone sonoro che altera i sensi e acuisce il disagio di trovarsi realmente al cospetto di un rituale esoterico all'interno di un edificio sacro e le cui finalità, malgrado non appaiano chiare, promettono tutt'altro che lieti trastulli: un subisso di generi uniti in un'occulta alleanza tesa a costruire un cosmo ove confluiscono miriadi di credenze e gnoseologie che vanno dalla magia alle filosofie orientali, dalle simbologie della civiltà dei faraoni allo sciamanesimo sino ai canti enochiani. Un viaggio accidentato e tuttavia affascinante, in grado di regalare un biglietto di sola andata verso spaventose dimensioni ultraterrene.
 
 
La prima sezione, ovvero "Ritual I: The Kaula's Circle", titolo che accenna a una forma di tantrismo indicante la Totalità nella sua forma manifesta, apre i giochi con "Kshanika Mukta": l'ambigua liberazione dell'anima passa attraverso diciassette minuti di drone intervallati da dialoghi estratti da horror movie italiani degli anni '70 e litanie vocali immersi in una ritmica appena percepibile nel turbinio dei riverberi e nelle radicali distorsioni dell'insieme. A un certo punto però i bordoni allentano la presa, salgono alla ribalta i brusii ossessivi del mini didgeridoo aborigeno, si avverte la timbrica solenne dell'organo liturgico, i synth modellano spirali chiaroscurali in fluido divenire. Emergono fiotti di psichedelia macilenta tra le danzatrici celesti in preghiera di "Apsara", il post rock bisbiglia nella residenza dei defunti di "Sekhet Aahru" e negli accordi di "Arkashani", si affacciano rigagnoli space negli spasmi di dolore di "Qaa Om Sapah": la purificazione necessita del sangue per risultare davvero efficace.
 
 
In "Ritual II: Tears Of Kali" la materia assume fisionomie fortemente spirituali: la colossale "Kaaw-Loon" sembra sepolta sotto tonnellate di effetti, espressione di un ondeggiare lisergico nel fango tribale del sud-est asiatico che persevera flessibile quando in "Sekhmet" la divinità egizia dalle fattezze di leonessa ruggisce nelle segrete del minimalismo ambient ornato da linee melodiche circolari. Il clima intanto diviene ancora più rarefatto: l'orazione cantilenante di "Celeste: Samsara Is Broken", arricchita da nuovi inserti cinematografici, cinge la metempsicosi di consapevolezza, persuade l'uomo a riconoscere la propria appartenenza al brahman, lo spinge alla potenza rigeneratrice della posizione invertita elevata a sistema di "Viperita Karani", nella quale i dialoghi su vita e immortalità si depongono su armonie fitte ed eteree e poi cozzano contro un'orgia di feedback pungenti. La breve "Sothis", chiusa da un simbolico gong incontrato già nell'opener, trascorre placida sulla stella principale della costellazione del Cane Maggiore; la bonus track "Carma Geta", invece, conclude il periglioso itinerario attraverso una marasma esorcistico filtrato e ronzante, privo di qualsivoglia barlume di speranza e lasciato marcire negli occhi di demoni carichi di mescalina.
 
 
Sovraccarico, ostile, malato: nonostante rientri nella classica e abusata dicotomia dei dischi da rigettare in toto o da amare alla follia, "Netrayoni" restituisce comunque al coraggioso fruitore uno stato di trance percettiva che esula dalla consueta concretezza dell'universo mondano. Forse i deliri cambogiani del colonnello Kurtz iniziarono con l'ascolto dei Nibiru.




CD 1 - Ritual I: The Kaula's Circle

01. Kshanika Mukta
02. Apsara
03. Sekhet Aahru
04. Qaa-Om Sapah
05. Arkashani

CD 2 - Ritual II: Tears Of Kaly

01. Kwaw-Loon
02. Sekhmet
03. Celeste: Samsara Is Broken
04. Viparita Karani
05. Sothis
06. Carma Geta

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