Benvenuti nella AORLAND degli anni '80, la terra atemporale delle audiocassette, delle copertine patinate, di Miami Vice e di tutte quelle chincaglierie sospese tra il superficiale, lo scenografico e il futuribile che l'immaginario collettivo associa ai favolosi eighties. Nel loro terzo lavoro in studio, "New Eyes", i Magic Dance, progetto dello statunitense John Siejka, levitano, con spavaldo e consapevole anacronismo, sulle creste di un adult oriented rock privo delle componenti hard del precedente "Vanishings" (2016) e contagiato dal synthpop più etereo e cromato. Una miscela cara alle colonne sonore easy listening di buona parte della cinematografia del periodo, dalle quali l'artista di origine ellenica trae evidente ispirazione.
Nonostante il timbro vocale del leader appaia una sottile striscia filamentosa al limite del dissolvimento, paradossalmente proprio la sua evanescenza riesce a restituire l'epidermica scintillio di una decade ricca di ottimismo e speranza: "You're Holding Back", Never Go Back", "Cut Beneath The Skin" cavalcano, senza pudore, l'onda melodica della leggerezza, pascendosi di ubiqui cori fluorescenti e di un gusto (calcolato) per l'artificiosità ingenua degna dei primi videoclip trasmessi da MTV. Nel prosieguo del lotto il nostro varia davvero di poco lo spartito: a eccezione della chitarra affilata di "When Nothing's Real" e del ritmo indolente della title track, la parola d'ordine resta, complice la cosmesi ai raggi gamma di arrangiamenti e produzione, l'ultra orecchiabilità di brani come "Better Things" o "Looking For Love".
Di fatto, la pecca maggiore di "New Eyes" risiede nell'essere così ancorato a un determinato momento storico da rischiare l'incomprensibilità da parte di una consistente fetta di fruitori nati dopo il 1979. Ma il consiglio dei Magic Dance vale per l'intera platea di ascoltatori: sedetevi comodi, prendete un vecchio walkman, pigiate il tasto play e lasciatevi investire da una pioggia di coriandoli dorati. A un millimetro dalla new retro wave.