Come già accennato, l'album cede a volte il fianco a sonorità più simili a quelle attualmente in voga ("The Apple", "Clarity"), sempre però cercando di "recuperare" poi con l'estro tipico delle giovani formazioni desiderose di dire qualcosa di nuovo, grazie anche a un'isteria compositiva e a un'inquietudine di fondo che pervade tutto il lavoro e che, come il fiore appassito in copertina, cerca costantemente di trovare il modo di fuoriuscire e rimanere visibile.
Il sound è quello di un platter ad alto budget dei primi anni 2000, ossia non sovraprodotto all'inverosimile con tecniche da sound design e basato su registrazioni organiche. È in particolar modo la batteria a differenziarsi dal modus operandi moderno: l'assenza di editing selvaggio, tipico ormai anche di produzioni amatoriali, dà anche la possibilità di scorgere dei fill leggermente fuori tempo, vestendo il disco così di un'aria "umana" ormai assente in moltissime delle forme più estreme del metal.
In conclusione, "Phases" è un disco molto interessante per i progster, ma capace di intrattenere una schiera molto più variegata di persone. Soprattutto quelle stanche di suoni prefabbricati ed esecuzioni che ormai poco hanno da spartire con un genere che dà il suo meglio quando coniuga cerebralità tecnica e naturalezza umana.