Il 2017 è stato un anno particolare per il prog, un anno in cui nuove idee sono entrate a far parte del già complesso calderone di questo universo musicale, tracciando nuovi sentieri, ma anche ammorbidendo alcuni dogmi e abbattendo certi confini che, in verità, erano già da tempo traballanti.
Se l'anno era iniziato in maniera piuttosto nostalgica con un vero e proprio inno al progressive rock classico come "Lost in The Ghost Light", di Tim Bowness, ben più "rumoroso" è stato il controverso "To The Bone", che in estate ha visto un'icona assoluta dei tempi dispari come Steven Wilson pubblicare un album etichettato addirittura come Progressive Pop. Molto curioso quindi, che questo particolare anno si chiuda con la ristampa (ad opera di Wilson) di "Returning Jesus", quarto lavoro a nascere, nel 2001, proprio dalle idee del binomio Bowness-Wilson, progetto rispondente al nome di "No-Man".
In parallelo alla sua attività con i Porcupine Tree, i No-Man sono stati per Steven Wilson l'espressione del suo lato più art rock e ambient, di contro a quel metal progressivo di cui la sua principale band provvedeva invece a scrivere pagine fondamentali. "Returning Jesus" è probabilmente il disco più significativo di questa brillante collaborazione, un lavoro che si pregia dell'inconfondibile voce di Bowness e di una line up di tutto rispetto. Si nota da subito il lavoro di Colin Edwin (altro membro dei Porcupine Tree) al basso e soprattutto al contrabbasso, che assieme al sassofono di Theo Travis trasmettono alla traccia di apertura, "Only Rain", l'atmosfera chamber jazz di cui l'ambient dei No-Man spesso si fregia.
L'andamento piuttosto lento guida l'ascolto attraverso la bellissima "Close Your Eyes", perla dell'album la cui epicità è messa in risalto dalle ritmiche primordiali e dai sintetizzatori, curati da David Kosten. Qui la voce di Bowness sale in cattedra, rimanendovi poi fino alla conclusione del lavoro, che vede tracce come "Lighthouse" e "All That You Are" esprimere tutta la devozione per il cantante Britannico nei confronti di David Bowie. "Lightouse", in particolare, rappresenta la ciliegina sulla torta di questo disco, portando il caratteristico clima malinconico dell'album ad una dimensione più orecchiabile, in cui il ritornello sale di intensità assieme al resto delle componenti.
Ma il buon Steven Wilson non poteva certo non cogliere l'occasione per arricchire il lavoro di un secondo disco, sul quale trovano spazio demo, versioni alternative e lati B del gruppo. Insomma, l'anno del prog non poteva chiudersi in modo migliore che con la preziosa reissue sotto il segno di KScope di questa perla tutta da riscoprire. Un capitolo del fondamentale catalogo di Steven Wilson che vale assolutamente la pena di recuperare e gustare ancora una volta, sotto la nuova luce di sedici anni dopo.