C'era una volta uno scenario regolare e una normale tendenza all'azione, un'ondata promozionale sospetta ma non troppo sorprendente e una band che doveva tornare in studio per confermare un ottimo esordio. Normalmente si compongono dei pezzi e li si sottopongono ad un produttore. Dave Sardy, però, è impegnato. Per cui si parla solo di Noel Gallagher, che anche questa volta ne pensa una più del diavolo, scrive, registra, produce e si piazza in copertina. Il nuovo album è servito. Fine della storia.
Noel, che non sa - e non deve - allontanarsi da quel movimento di indice e medio tra Sol e Do, è visibilmente tormentato. "Chasing Yesterday" è un delirio di messaggi subliminali per chi li sa scovare e per chi è cresciuto nei britannici ‘90, quando le band non si scioglievano su Twitter. L'anno scorso la ripubblicazione del meglio degli Oasis con la serie "Chasing The Sun", e ancora prima - era il 1994 - quei versi di "Slide Away" in cui l'inseguimento senza meta apparente era così coesivo e attrattivo da venire inneggiato ancora oggi sulle curve a Manchester. "You Know We Can't Go Back" è però il brano più potente e ritmato dell'album, attorniato dall'Indie Pop barocco che sa di Rock solo perché lo stesso Noel lo è. "The Dying of the Light" è il negativo in dissoluzione di "The Shock of the Lightning", e quel titolo a metà tra un ventennio e Paul McCartney farà piacere al proprio autore ma è l'esatta dichiarazione di dove egli volga lo sguardo.
"Chasing Yesterday" è il disco del momento pur essendo proiettato al passato: dieci brani - quattordici nella deluxe edition - meno creativi e meno innovativi del precedente self titled, il mix raso al suolo di Queens of the Stone Age, Stones e T. Rex insieme. Però lo ha fatto Noel, quindi va bene così.