Trident
North

2020, Non Serviam Records
Black/Death Metal

Recensione di Giovanni Ausoni - Pubblicata in data: 30/09/20

L'uscita nel 2010 di "World Destruction" sembrava il classico one shot record di una band estemporanea, nata sotto la spinta del ricordo e, perché no, di una legittima voglia di riscatto: desiderio, questo, covato all'epoca da Johan Norman, reduce, tra il 1997 e il 2004, da un'esperienza poco appagante con i Soulreaper dopo la mai dimenticata partecipazione, nel ruolo di chitarrista ritmico, alla corte dei Dissection durante le registrazioni del leggendario "Storm Of The Light's Bane" (1995). Fondati i Trident, che nel succitato esordio in studio contavano in line-up un paio di pesi massimi della scena (Alex Friberg e Tobias Sidegård dei conterranei Necrophobic), l'axeman di Kungshamn aveva dimostrato che, tutto sommato, quell'esperienza alla corte di Jon Nödtveidt non era stata soltanto un fuoco di paglia. Ora, a due lustri di distanza, viene pubblicato un secondo platter, "North", meno diretto del debutto e con una componente viking decisamente pervasiva.

A tal proposito, basta analizzare i dettagli della cover: certo, malgrado un disco non si giudichi esclusivamente dalla copertina, gli attenti osservatori ammiccheranno di soppiatto ai richiami, sia per le sfumature di colore che per i soggetti rappresentati, all'artwork di "Blood On Ice" (1996), uno degli album più epici e aggressivi a firma Bathory. E, pur non basandosi su un concept narrativo quale l'illustre antenato, il nuovo LP degli scandinavi ne rievoca l'atmosfera generale, comprimendola nella tradizionale ossatura black/death made in Sweden, caratterizzata da un riffing tagliente e da arpeggi cangianti e melodici. Si avverte chiaramente, poi, l'eco maligna dei Lord Belial a livello di feeling e di struttura, e non potrebbe essere altrimenti vista la presenza in formazione del bassista Anders Backelin, responsabile inoltre del missaggio e del mastering. 

Le tracce, lunghe e articolate, alternano blast beat e passaggi in mid-tempo, spruzzate di sinfonismo e tornanti di heavy classico, accelerazioni thrasheggianti e orgoglio pagano; la tenacia nel resuscitare le anime dei vecchi maestri svedesi dell'estremo appare evidente, così come non sfugge quanto il songwriting reiteri sé stesso con una caparbietà ammirevole. Difficile, dunque, distinguere "Death" da "Summoning" o "Pallbearers Hymns" da "Final War", dal momento che la combinazione degli ingredienti rimane sempre e comunque la medesima, con il risultato che il lotto, benché congegnato professionalmente, conserva un'uniformità di fondo monocorde e di scarso valore neurotonico per i nostri padiglioni auricolari. Fa piacevole eccezione la fluviale e conclusiva "Schaman", che si stacca in parte dal canone conosciuto grazie ai suoi arpeggi silvani e a una delicata marzialità tolkienana (vedesi ultimi Summoning): un alone di leggerezza fantasy per un opus che, forse, si prende sin troppo sul serio nella veste di manifesto celebrativo di un passato unico e irripetibile.

In "North" trionfa l'usato sicuro: i Trident aggiungono poco o nulla di proprio, preferendo giocare d'abilità con un materiale forgiato da mani altrui quasi tre decenni orsono. Operazione standard, senza infamia e senza lode.

 





01. Enter
02. Death
03. Imperium Romanum
04. Summoning
05. Pallbearers Hymn
06. Final War
07. Possession
08. North
09. Schaman

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