Narrazioni ricche di mistico simbolismo e di aspri contrasti; dolci distese acustiche innervate di sottili linee elettriche, luminose e flebili adorazioni al mondo antico, che si perdono in funerei, cupi cori a più voci. Sono le storie del Bardo Oberon, tornato dopo un duraturo silenzio a raccontarci travagliati percorsi di uomini e anime, dalla nascita alla morte, dal risveglio alla scoperta della propria vera essenza.
La fenice è tema centrale del canto di Oberon, quasi a simboleggiare la rinascita (e il ritorno sotto l'egida di Prophecy Recordings, che annovera l'eponimo esordio, del 1997, tra le sue primissime pubblicazioni) dell'artista dopo tredici anni d'oblio. Anni passati, a quanto pare, ad assimilare, rielaborare e plasmare in una nuova, seducente e armonica foggia le migliori espressioni del più malinconico neofolk: "Dream Awakening" si piazza a metà strada tra un onirico ed etereo avantgarde (le note di piano spezzate da penetranti synth sulla titletrack, le atone ma risolute vocals di "Phoenix") e un più sanguigno alternative-prog da Katatonia (le decadenti estetiche chitarristiche di "Escape" e le intrusioni doom affioranti tra le gutturali voci di "I Can Touch The Sun With My Heart"), incorporando con maestria il solido, indimenticato spleen degli Anathema pre-innamoramento (la poetica "Age Of The Moon") ma anche un pizzichìo afflitto alle sei corde, che fa tanto Lunatic Soul (la struggente "Dark World").
Incastrando in un armonico mosaico elementi già di per sé d'assoluto valore artistico, le curate trame di "Dream Awakening" accompagnano lungo un viaggio tormentato ed avvincente, privo del minimo momento di stanca o punto morto: il completamento della proposta artistica di un musicista che vent'anni fa intrigò per le sue cupe e turbate sonorità ambient e che oggi, dopo un lunghissimo esilio volontario, padroneggia un spettro d'emozioni che ha ben pochi eguali.