Zola Jesus
Okovi

2017, Sacred Bones Records
Gothic pop

Recensione di Fabio Rigamonti - Pubblicata in data: 14/10/17

“Take me home, Take me home, Take me home…” 
 
Con questa supplica sussurrata si conclude l’incipit “Doma”, e dopo una frazione di secondo un esercito di violini schizzati e rapsodici ci portano verso una “Exhumed” pronta ad esplodere su nervosa beat jungle che ci conduce attraverso una foresta nera di rara oscurità popolata da meravigliosi orrori sonori che in essa vi abitano.

Già dall’incipit di “Okovi” sopra descritto riusciamo ad intuire come il lavoro si contraddistingua per intensità, ed è quasi profetico che il ritorno della figliol prodiga Zola Jesus alla casa discografica che le conferì i natali e la consacrazione artistica coincida col suo capolavoro. Lasciate alle spalle le tentazioni pop del diavolo Mute Records sullo scorso e debole “Taiga”, la Jesus con “Okovi” dimostra difatti una padronanza della materia sonora gotica plasmata nel silicio che ha dello sconcertante.
Prendiamo, ad esempio, “Veka”: parte come una perfetta rilettura dell’industrial dei ‘90s, salvo poi risolversi, grazie al solo uso di tre battute di drum machine, in atmosfere cibernetiche moderne e contemporanee.
E se pensate che quanto appena letto possa suggerire un album sterile ed iper-costruito, ci sarà ad attendervi una sinfonica “Witness” che raggiunge, e a momenti supera, la BjÖrk più vulnerabile ed addolorata di “Vulnicura” per smentirvi appieno.

E’ la capacità di suggestionare ed instillare vivide visioni il vero potere di “Okovi”, disco animato da brani come “Siphon” dove il sintetizzatore dipinge un cielo terso e splendido in cui si vola su un’estasi melodica, ma in cui è anche impossibile abbandonare anche solo per un secondo la paura della caduta grazie ad una tensione elettronica costante e terribile. E poi certo, il ritorno del pop, stavolta però usato senza effetto plastificante, ma piuttosto come mero veicolo in grado di alleggerire un senso di oppressione perenne conferito dai testi che, se vogliamo, ricadono sì nei cliché del genere, ma che, col potere della melodia, vengono stemperati in un nero non meno splendente, ma che fa sicuramente meno paura, rendendo il tutto estremamente appetibile per chiunque ami la buona musica. Un gothic, quindi, non auto-compiacente quello partorito in questo caso dalla cantautrice russo-americana, quanto piuttosto eloquente nel suggerire – attraverso soluzioni sonore nuove e sempre ispirate – numerose vie e possibilità.

E con il pieno potere di riuscire a farci credere in un futuro migliore attraverso una rassegnata e disillusa speranza, “Okovi” è disco in grado di portare nuovi accoliti verso l’artista che l’ha partorito, senza minimamente deludere chi in essa ha sempre creduto. In fondo, ad un grande disco è anche francamente pretenzioso chiedere di più.





01. Doma
02. Exhumed
03. Soak
04. Ash To Bone
05. Witness
06. Siphon
07. Veka
08. Wiseblood
09. NMO
10. Remains
11. Half Life

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