Ozzy Osbourne
Blizzard of Ozz

1980, Jet Records
Heavy Metal

Il ritorno alla vita di Ozzy Osbourne, un capolavoro!
Recensione di Stefano Risso - Pubblicata in data: 23/11/14

Nel 1979 la carriera dei Black Sabbath era arrivata a un punto critico. Dopo un decennio sulla cresta dell’onda i rapporti interni alla band di Birmingham erano sempre più delicati, complice anche un disco non proprio fortunato come “Never Say Die!” (uscito nel 78). Consapevoli di dover dare una svolta alla formazione, i Sabbath cominciarono subito negli Stati Uniti i lavori per un nuovo album, unico assente Ozzy Osbourne, sempre più alla prese con i problemi di dipendenza da droghe e alcol. Le cronache narrano, sempre in bilico tra realtà storica e mito (come spesso accadrà con la vita del MadMan), che quando il cantante raggiunse i compagni in studio, arrivò in condizioni pietose, avendo avuto anche il tempo di compiere un'aggressione (con arresto) durante il volo transoceanico. Col passare delle settimane le cose non migliorarono, i tre Sabbath fecero quadrato e fu Bill Ward a dare la notizia ad Osbourne: “Abbiamo deciso di andare avanti senza di te”.

Come logica conseguenza, Ozzy cadde in una profonda depressione che aggravò moltissimo la propria condizione di tossicodipente e alcolista. Il più classico dei baratri, vedere le fiamme dell’inferno per poi riprendere per mano una carriera che aveva ancora molto da dire. Se oggi Ozzy è ancora quello che è, gran parte del merito va alla manager (e futura) moglie Sharon, che indirizzò senza perdere tempo il futuro artistico del frontman, salvandogli non solo la carriera ma probabilmente anche la vita. Partì dunque il reclutamento della band, con la consueta girandola di nomi, assestatasi con Lee Kerslake alla batteria, Bob Daisley al basso (entrambi in orbita Uriah Heep), ai quali si aggiunse alle tastiere Don Airey. Ma per far sognare i fan di tutto il mondo ci voleva il chitarrista solista giusto. La coda per sostenere l’audizione era così lunga da snodarsi lungo tutto il palazzo, fin quando un giovane e minuto ragazzo chiese a un Ozzy non proprio lucidissimo: “Cosa vuoi che suoni?”, L’assolo che ne seguì, secondo le ricostruzioni storiche, fu così sbalorditivo tanto risvegliare Ozzy dal torpore chiedendosi: “Chi cazzo è questo tizio?”. Era Randy Rhoads, chitarrista dei Quiet Riot, la seconda persona più importante, in ordine di rilevanza, per la seconda vita musicale di Osbourne. Lo stesso cantante ha ammesso che sentire la bravura di quel ragazzo gli era sembrato un dono del cielo, qualcosa che andava valorizzato, semplicemente: “Quel ragazzo mi ha dato speranza”.

E come dargli torto. Da lì il passo fu breve, a meno di un anno dal licenziamento dai Black Sabbath, Ozzy diede alla luce il primo album della sua carriera solista, il presente “Blizzard of Ozz”, nome scelto inizialmente per la band in via di allestimento, ma poi accantonato. Un cantante pazzo in cerca di riscatto, una band di assoluto valore, il più talentuoso chitarrista del mondo, un pugno di canzoni divenute poi leggendarie e l’ingresso (ancora una volta) nel mito era servito. Una digressione storica lunghissima ma doverosa, perchè parlare di questo disco senza il vissuto tragico che vi è dietro la copertina, non sarebbe possibile.

Un successo clamoroso in tutto il pianeta. Una carriera (e una vita) riacciuffata per i capelli, in sostanza questo è “Blizzard of Ozz”, un concentrato dell’umanità e della sensibilità di Ozzy Osbourne, le cui intemperanze passate alla storia ne hanno sicuramente offuscato i pregi artistici agli occhi del grande pubblico. Un Ozzy nuova versione, rinfrancato, carico, coadiuvato da Daisley e Rhoads alla scrittura, dà vita a quello che probabilmente è il miglior album della “seconda parte di carriera” dell’inglese. Una tracklist che vede heavy metal e hard rock fondersi in maniera davvero riuscita, coniugando al meglio la potenza del suono a una certa accessibilità della proposta, non sacrificando la prepotenza chitarristica di Rhoads, esemplare sia nei ripetuti assoli quanto nel riffing. La classica quadratura del cerchio tra sessione ritmica, scrittura, atmosfera e voce, così semplice all’ascolto ma così dannatamente difficile da costruire.

“Blizzard of Ozz” è un disco molto completo, in grado di lasciarsi ascoltare con una facilità disarmante, senza annoiare mai e risultando fresco ancora ai giorni nostri. L’alternanza di frangenti ora cupi, ora frizzanti, da passaggi classicamente heavy a ballate struggenti è la vera forza di un lavoro che sembra davvero essere stato scritto senza alcun fine specifico, quasi di getto, rappresentando in tutti i sensi una scommessa. Una genuinità che può contare su una tracklist composta da pezzi passati alla storia e ormai patrimonio della musica rock di ogni epoca. Quasi impossibile citarne qualcuno senza fare torti: “Crazy Train”, con uno di quei refrain che possono decretare l’immortalità di un’intera carriera, “Mr. Crowley”, con un Rhoads assoluto nei suoi assoli che entra di diritto nell’empireo delle sei corde o “Goodbye to Romance”, struggente ballata sull’addio dei vecchi compagni nei Sabbath. E via discorrendo.

Ma per come ogni album che ha segnato la storia del genere, il track-by-track potrebbe essere fin troppo lungo e tedioso, potendo pescare a occhi chiusi dal mazzo e scoprire un pezzo ognuno con una sua particolare anima, sincero, diretto, senza fronzoli, proprio come ci immaginiamo possa essere Ozzy. Un primo passo col botto, un album coi fiocchi, un chiarrista “che faceva impallidire Eddie van Halen”, morto troppo presto (in seguito a uno stupido incidente aereo nel 1982 a soli venticinque anni), “Blizzard of Ozz” è un fedele compagno di ascolto che, anche a distanza di oltre trent’anni, difficilmente riuscirà a stancarvi. Se non l’avete ancora fatto, fatelo vostro.



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