Paolo Saporiti è un cantautore milanese attivo da molti anni nell'ambiente musicale meneghino. A distanza di pochi mesi pubblica un nuovo album e lo fa in maniera molto particolare: strutturato su due dischi, le sei tracce che li compongono sono le stesse, ma allo stesso tempo molto diverse. Il primo disco è affidato alla produzione di Raffaele Abbate, che le rende canzoni a metà strada tra il blues e il cantautorato italiano in stile De Andrè e De Gregori, mentre il secondo è opera di Xabier Iriondo degli Afterhours. Il risultato è nettamente diverso, in totale contrasto uno con l'altro, vediamo perchè.
Il primo disco è intimo, da nottata passata in un bar mal illuminato a bere whiskey in preda ad un attacco di depressione, il secondo è un trip di LSD in formato musicale.
Problema: il bar mal illuminato del primo disco ha sede a Sin City (quella di Frank Miller, ma senza Jessica Alba) e il trip di LSD del secondo è un trip andato male, elefanti rosa che ballano inclusi.
Tutto nasce dopo una telefonata alla madre che ha spinto Saporiti a scrivere queste sei tracce, tant'è che il complesso edipico è abbastanza lampante nei testi, a tratti persi nella ricerca del tempo perduto ma principalmente ripieni di quella deprimente sensazione di pesantezza allo stomaco tipica del pranzo natalizio.
Per quanto l'esperimento possa essere interessante, ovvero vedere come la stessa canzone può essere interpretata in maniera differente in base a come la si arrangia e che tipo di strumentazione si usa (in questo caso approccio acustico minimale VS arrangiamenti elettronici al limite dell'otto bit) il fatto che manchi un riarrangiamento della traccia vocale, uguale in entrambi i casi, rende tutto piatto e monotono. Le differenze musicali sono minime, anche perchè nel missaggio la voce è messa in evidenza al punto che è l'unica cosa importante su cui l'orecchio riesce a concentrarsi. Dopo un po' il resto diventa rumore di fondo che a malapena si nota.
Il problema è che pure le linee vocali sono di una piattezza disarmante, al limite della cantilena.
Se l'intento era di condividere la propria inquietudine, non è esattamente questo il risultato raggiunto. L'ascoltatore, più che inquieto, rischia di ritrovarsi a togliere il CD dopo due canzoni. Se per inquietudine o semplicemente per noia, non è dato sapere. Il nobile intento della sperimentazione è lodevole, di certo questo alza il voto, ma in quanto a esecuzione, proprio non ci siamo.