Paradise Lost
Medusa

2017, Nuclear Blast
Gothic Metal

"Medusa" rappresenta il risultato di un viaggio a ritroso lungo le sonorità delle origini. Un album che è garanzia di una carriera che ha ancora molto da dire. 
Recensione di Luca Ciuti - Pubblicata in data: 31/08/17

Prima di parlare della nuova fatica dei Paradise Lost, consentitemi un breve inciso: giorni fa guardavo per la prima volta il DVD "Over The Madness", originale panoramica datata 2008 sulla carriera della band. Il film merita la visione, anche solo per vedere come sia possibile raccontare una storia interessante disponendo di mezzi limitati; ma anche perché rispecchia appunto, nella sua ristrettezza, lo stile che ha caratterizzato il combo di Halifax, che ha fatto della semplicità e dell'immediatezza i suoi punti di forza.
 
Che i Paradise Lost possano davvero fregiarsi del titolo di inventori del gothic metal o meno, una cosa però  è certa: Nick Holmes e soci hanno rappresentato un momento decisivo nell'evoluzione del genere e continuano in qualche modo a esserne fra i massimi esponenti. Da "In Requiem" in avanti la band ha imboccato la strada di una seconda giovinezza scandita da un rinnovato feeling col proprio pubblico e con la critica; i tentativi di accattivarsi il pubblico mainstream sono stati accantonati ma da quell'esperienza i Paradise Lost hanno fatto tesoro per tornare a fare quello che riesce loro meglio.

Il viaggio a ritroso lungo le sonorità delle origini prosegue con "Medusa", quindicesimo capitolo della saga nonché primo sotto il marchio dell'infaticabile Nuclear Blast. Non bastava la data di release fissata al primo settembre, anche gli otto minuti e mezzo di "Fearless Sky" sono lì a ricordarci che l'estate è già finita: a memoria d'uomo si tratta del brano più lungo di tutta la loro carriera, ma non aspettatevi un inatteso colpo di testa, da bravi figli dei '90s i Paradise Lost tengono la barra dritta per tutto il brano, concedendosi pochissime variazioni su un tema che conoscono ormai benissimo. In "Medusa" la componente death doom è più marcata che mai, otto brani lenti, opprimenti e ossessivi, figli di un'introspezione che a tratti persino disturba. Fa eccezione "Blood And Chaos", non a caso scelta come singolo apripista, unico spiraglio di luce in un disco che sembra un macigno calato sui piedi dell'ascoltatore. Come già in passato con gli ascolti è forte però la sensazione di trovarsi davanti a un unico, lungo brano dalle caratteristiche familiari e intriganti, ma che non regala particolari momenti di intensità emotiva.
 
Un buon disco dunque, ma niente che porti a scomodare gli illustri trascorsi della compagine albionica. I Paradise Lost posizionano ancora una volta la palla al centro, ansiosi di giocare la loro partita a testa alta: ben vengano dischi come questo a garanzia di una carriera degna di essere prolungata ben oltre i tempi regolamentari.




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