Paradise Lost
The Plague Within

2015, Century Media Records
Gothic

La personificazione musicale delle svariate vite vissute dai Paradise Lost
Recensione di Alessio Sagheddu - Pubblicata in data: 07/07/15

Possiamo essere scontenti o contenti a metà, questa è la verità.
A rileggerla così sembra quasi la cinica risposta all'esistenziale domanda ("Are you smiling for? Are you happy, now?") di una persona che non conosci affatto. Perchè, detto tra noi, nessuno osa domandarselo, timoroso di non poter mentire a se stesso. A smuovere un quesito del genere è sempre qualcuno che non conosci affatto, qualcuno fugace come una notte di luglio. Possiamo essere scontenti o contenti a metà e quando si parla di gruppi come Paradise Lost esistono e sempre esisteranno questi "schieramenti":

 

 

C'è chi ancora è succube all'era "Draconian Times" e non è mai andato avanti.
C'è chi ha versato lacrime di sangue, disperso sinistri anatemi e maledetto il successo di "One Second" ed i synth di "Host".
C'è chi ha sempre tralasciato l'effettiva forza di "Believe In Nothing".
C'è chi non fa alcuna resistenza al ritornello di "Faith Divides Us - Death Unites Us" o alle soluzioni "ariose" di "Tragic Idol"; c'è infine chi si è scoperto soddisfatto dalla riedizione di "Gothic", pubblicata qualche anno fa con "Tragic Illusion 25″. Ce ne abbiamo messo di tempo ma ora che è tra le nostre mani, sorge spontanea la domanda su quale sarà la platea a circondare questo nuovo "The Plague Within".

 

 

Una platea che non si aspettava affatto che "The Plague Within" suonasse in questo modo; anche se il video di "Beneath Broken Earth" mostrava chiaramente quali fossero le carte in gioco stavolta, nei giorni successivi all'uscita del video e nell'attesa dell'album c'è stato finalmente il silenzio. Un silenzio musicale che dovrebbe attendere ogni singola uscita, quel silenzio che mal sopporta chi storce il naso dopo aver sentito un solo brano (alcune volte c'è anche chi è talmente svelto da catturare l'essenza di un album da una sola anteprima o trailer). Stavolta sono stati tutti ammutoliti ad album non ancora pubblicato. Ma non è l'unico silenzio nella platea che questo lavoro porta con sè. Chi dava per spacciato, vocalmente parlando, Nick Holmes è stato zittito con il garbo inglese di chi non deve dimostrare alcunché, così come le malelingue presenti durante il cambio di vocalist nei Bloodbath hanno dovuto ricredersi. Non solo si può dire che "Grand Morbid Funeral" sia un buon album ma con "The Plague Within" è da escludere del tutto la teoria che Holmes ed il suo growl siano fuori gioco. Forse invecchiato certo, dalla barba appariscente anche (quasi farisea, potremmo dire) ma non spacciato, anzi in gran forma, carismatico e convincente nell'interpretazione di ogni brano. Lo stesso discorso lo si può argomentare anche sulla sublime prova di Greg Mackintosh che intreccia il suo lavoro alle partiture orchestrali (la trionfante epicità di "Return To The Sun" parla da sè); non mancano poi brani dove Holmes sfrutta registri vocali differenti ("Victim of the Past"), piccole perle musicali ("Sacrifice The Flame") e longevi fervori corali ("Flesh From Bone") in un tripudio di rimembranze e sperimentazioni che presentano un concept che ripercorre nientemeno che tutte quelle fasi sonore affrontate dalla band lungo gli anni. Ogni singolo album citato nella nostra introduzione sembra ripresentarsi sottoforma di personificazione musicale nello spettro sonoro di questo "The Plague Within" che riesce a far invecchiare al meglio una band, rendendola "moderna".

 

 

Possiamo essere scontenti o contenti a metà, qualche volta anche visibilmente soddisfatti.





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