Nella musica, così come in natura, sopravvive chi meglio si adatta. La musica è un fenomeno naturale e la metamorfosi è un fenomeno inevitabile e necessario, ma a volte da alcune fasi di essa si comprendono meglio i passi precedentemente compiuti. È il caso discografico di After Laughter, è il caso dei Paramore 2.0 che guardano al 2017 come all'anno delle definitiva consacrazione a riferimento della poliedricità emozionale, nell'anno dell'accondiscendente termine del contratto con il Rock N'Roll e della sigla di quello con l'Alternative Pop.
"When I get to the bottom I go back to the top of the slide, where I stop and I turn and I go for a ride". Questo lo disse Paul McCartney nel '68, questo lo vivono Hayley Williams e soci ora: After Laughter è un giro consapevole nella giostra delle illusioni e delle abitudini che ci distraggono dalla routine della vita. Una vita che è tale solo se condivisa: ecco quindi il ritorno di chi con Hayley ha condiviso gli esordi e la bellezza dell'adolescenza, Zac Farro alla batteria, ed ecco il nuovo ruolo di coproduttore di Taylor York, che assieme a Justin Meldal-Johnsen va a completare la squadra d'attacco al servizio della Williams.
After Laughter sta ai Paramore come Helter Skelter ai Fab Four, cambiano le epoche, i riverberi e l'educazione, ma non le intenzioni e i significati concettuali per la storia della band. In ogni punto della piccola rivoluzione dei Paramore - dai singoli di benvenuto alla conclusione distesa e speranzosa, fino ai nevralgici cambi di direzione di "Caught In The Middle" - c'è grande spazio per una crescente dicotomia tra suoni confezionati sinteticamente, ma con una passione analogica e cristallina, e testi generalmente pessimisti, o meglio pessimisti poiché realisti. Il quinto dei Paramore - edito da Fueled by Ramen, già al lavoro su Panic! at the Disco, SWMRS, Twenty One Pilots e Young the Giant, e un'evoluzione che proprio non potevamo immaginarci così grande dopo l'album self-titled del 2013 che ancora guardava al passato con orgoglio - è concettualmente l'esatto opposto del soffice cielo sonoro su cui si distende, un back to reality interpretato dal primo all'ultimo minuto, lo stesso che si cela dietro al titolo.
L'amarezza di un sorriso dovuto ma spento, il ritorno al normale dopo un momento di euforia: questo descrive la band di Nashville, che per la prima volta registra un album nella propria città natale, dodici pezzi che sono il biglietto di andata verso una nuova dimensione, di cui si vede la porta ma non si conosce l'interno. La chiave è "Fake Happy", un lieve malessere generato per celare quella maledetta metafora, quel continuo compromesso che è l'inserimento della felicità nella vita ai giorni nostri.
"I'm quite alright
But I hope I don't blink
You see its easy when I'm stomping on a beat
But no one sees me when I crawl back underneath".
Concetti pesanti lanciati al mondo con intensità sopraffina, come giocattoli nella camera del disordine. I Paramore sono una fucina di idee e questa è la loro opera più leggera da sentire, più pesante da accettare, più intensa da ascoltare. Un'arma a triplo taglio per proteggersi dalle metamorfosi degli altri. Dopotutto, sono Hard Times.