Partiamo dalla protagonista, nei cui 6 minuti di durata la band di Stoccolma sciorina tutti i tratti distintivi della loro commistione di generi: arpeggio iniziale che si alza come la nebbia mefitica in un cimitero sperduto tra le campagne della Svealand, a cui subentra la doppia cassa tellurica di Joakim Sterner, l'unico membro fondatore superstite (nonostante negli ultimi anni siano tornati all'ovile sia Anders Strokirk - il singer del monumentale The Nocturnal Silence - che il chitarrista Sebastian Ramstedt); spazio poi al riffing spietato ai limiti del thrash più affilato, e alle melodie, in particolare nel ritornello, così avvolgenti, eppure nere e sinistre, fino al sulfureo break centrale in cui la band tira prepotentemente il freno a mano, fino a deflagrare nell'assolo. Un gran pezzo, che ci lascia ben sperare sul full-lenght (in arrivo nei primi mesi del 2018).
La "vecchia gloria" è invece "Slow Asphyxiation", title track anch'essa, ma del secondo demo della band (Anno Domini 1990), in cui erano presenti tanto i germi di quella concezione tutta svedese di fare death metal (che in alcuni casi, come nel loro, sfociò con l'incesto con il black metal), ma anche il DNA slayeriano del combo (che dalla band di Araya e soci ha tratto il nome e, agli albori, non solo quello). Sostanzialmente è identica nella forma all'originale: a differire sono (chiaramente) i suoni, più puliti e forse meno "putridi" e atmosferici rispetto alla produzione dell'epoca, con sonorità più calzanti alla natura del pezzo; il solo, più rifinito e preciso rispetto al passato; e infine la voce di Strokirk, meno cavernosa di quella di Stefan Zander, voce e basso sui primi due demo della band.